La Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio descrive tale crimine come atti commessi con l’intento di distruggere, in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso. In base a questa definizione un’inchiesta delle Nazioni Unite pubblicata ieri ha sollevato gravi accuse nei confronti di Israele, che avrebbe distrutto sistematicamente strutture sanitarie essenziali per l’assistenza sessuale e riproduttiva palestinese, tra cui il principale centro di fertilità del territorio. L’inchiesta afferma che Israele avrebbe deliberatamente imposto condizioni di vita tali da determinare la distruzione fisica della popolazione palestinese e attuato misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo. Navi Pillay, presidente della Commissione d’inchiesta e già capo dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, ha dichiarato che la distruzione del principale centro di fertilità e il blocco degli aiuti umanitari avrebbero causato “gravi danni fisici e mentali immediati e sofferenze a donne e ragazze”, con conseguenze irreversibili sulla salute mentale e riproduttiva della popolazione palestinese.
Israele: “Un circo antisemita”
Le reazioni di Tel Aviv non si sono fatte attendere. Il governo israeliano ha respinto con fermezza tali accuse, definendole “categoricamente infondate”. Il primo ministro israeliano, Benjamin Netanyahu, ha attaccato duramente l’ONU, definendo il Consiglio per i diritti umani “un circo anti-israeliano” e un “organismo corrotto e sostenitore del terrorismo”. Israele ha inoltre ribadito di essersi ritirato dal Consiglio un mese fa, accusandolo di promuovere una narrativa politica distorta e di ignorare i crimini perpetrati da Hamas, in particolare quelli avvenuti durante l’attacco del 7 ottobre.
Emergenza umanitaria a Gaza
Inoltre, sono ormai quattordici giorni consecutivi che Israele continua a impedire il passaggio degli aiuti umanitari dall’Egitto verso Gaza. I valichi di Kerem Shalom e al-Awja restano chiusi, causando l’accumulo di migliaia di camion carichi di cibo, medicinali e carburante al confine egiziano. Tuttavia, il valico di Rafah, che collega direttamente Gaza all’Egitto, è stato temporaneamente aperto per consentire l’evacuazione di feriti e malati palestinesi. Intanto, l’esercito israeliano ha riferito di aver colpito militanti palestinesi intenti a piazzare ordigni esplosivi nella zona centrale di Gaza. Secondo l’IDF (Israel Defense Forces), l’attacco aereo è stato eseguito per prevenire minacce dirette alle proprie truppe.
Nuova proposta USA
Mentre la tensione tra Israele e Hamas resta alta, gli Stati Uniti hanno avanzato una nuova proposta per un prolungamento del cessate il fuoco. Secondo quanto riportato dal portale di informazione Axios, il piano prevede il mantenimento della tregua almeno fino alla fine del Ramadan e della Pasqua ebraica, il 20 aprile, e la ripresa degli aiuti umanitari per la popolazione di Gaza. Al momento, non è chiaro se le parti coinvolte accetteranno la proposta. Sul futuro della Striscia, inoltre, il Ministero degli Esteri egiziano ha espresso apprezzamento per le recenti dichiarazioni dell’ex presidente americano Donald Trump, secondo cui “nessuno sta espellendo alcun palestinese da Gaza”. Il Cairo ha sottolineato l’importanza di prevenire ulteriori deterioramenti della situazione umanitaria nella Striscia e la necessità di trovare “soluzioni eque e sostenibili” per il conflitto israelo-palestinese.
Raid israeliani in Siria
Parallelamente, Israele ha condotto un attacco aereo su Damasco, colpendo un presunto centro di comando della Jihad Islamica Palestinese. Secondo fonti locali, l’operazione avrebbe mirato ai leader dell’organizzazione terroristica, accusati di pianificare attacchi contro Israele lungo il confine settentrionale. Il bombardamento ha provocato almeno una vittima, come riferito dall’Osservatorio Siriano per i Diritti Umani. L’operazione si inserisce in un contesto di crescente preoccupazione per un’eventuale espansione del conflitto, con Israele che teme un rafforzamento delle milizie palestinesi in Siria, specialmente sotto il regime di Abu Mohammad al-Jolani, leader di Hayat Tahrir al-Sham.