La crisi climatica sta minacciando in modo crescente gli ecosistemi acquatici e le zone umide, veri e propri gioielli di biodiversità e barriere naturali contro eventi meteorologici estremi. L’innalzamento del livello del mare, la siccità e i mutamenti climatici stanno mettendo a dura prova queste aree, con conseguenze devastanti per l’ambiente e per le comunità che da esse dipendono. Secondo gli esperti, e secondo una rapporto di Legambiente, il Mediterraneo sta registrando un preoccupante aumento del livello delle acque, fenomeno che potrebbe determinare la scomparsa di vaste porzioni di costa. Tra le aree più esposte ci sono le lagune costiere dell’Alto Adriatico, come il Delta del Po, la Laguna di Venezia, le Lagune di Grado-Marano e Panzano, oltre al Golfo di Cagliari e alla fascia costiera tra Manfredonia e Margherita di Savoia. Queste zone umide, oltre ad essere habitat insostituibili per numerose specie animali e vegetali, svolgono un ruolo cruciale nella regolazione del clima e nella protezione dall’erosione costiera.
Un’altra grave minaccia è rappresentata dalla crescente frequenza e intensità dei periodi di siccità. Nel 2024, in particolare, il Sud Italia, la Pianura Padana e alcune zone tra Toscana, Umbria e Marche hanno subito pesanti ripercussioni a causa della scarsità d’acqua. Il quadro si fa ancora più preoccupante se si considera che l’Italia ha già perso il 75% delle sue zone umide negli ultimi tre secoli. Uno studio pubblicato su Nature ha evidenziato come dal 1700 al 2000 queste aree siano state progressivamente ridotte, privando il Paese di un patrimonio ambientale di valore inestimabile.
Le zone umide italiane più a rischio
A livello globale, la situazione non è migliore. Secondo il rapporto Ipbes, l’85% delle zone umide rischia di scomparire, portando con sé la perdita di circa 4.294 specie di animali d’acqua dolce su un totale di 23.496 inserite nella Lista Rossa IUCN. Tra le specie più minacciate ci sono il 30% dei crostacei decapodi (come gamberi e granchi), il 26% dei pesci d’acqua dolce e il 16% degli odonati (libellule e damigelle). Legambiente ha recentemente pubblicato il focus ʼEcosistemi acquatici 2025ʼ, mettendo in luce le zone umide più esposte agli effetti del cambiamento climatico. Tra queste, il Delta del Po, che sta affrontando una situazione critica dovuta alla siccità e all’intrusione del cuneo salino, ossia l’infiltrazione di acqua marina nelle falde acquifere. Questo fenomeno sta compromettendo la biodiversità, l’agricoltura e l’approvvigionamento idrico per molte comunità locali. Un altro ecosistema fragile è il Lago Trasimeno in Umbria, che nell’estate 2024 ha subito una riduzione del 40% delle precipitazioni, con un conseguente abbassamento del livello delle acque sotterranee e delle sorgenti. In Basilicata, il Lago di San Giuliano ha visto una riduzione dei volumi d’acqua tra il 60 e il 70%, mentre in Sicilia il Lago di Pergusa è arrivato a prosciugarsi completamente, mettendo a rischio la fauna migratoria che lo utilizza come tappa cruciale lungo le rotte tra Africa ed Europa.
Situazione altrettanto drammatica nel Lazio, dove le ʼpiscinenaturaliʼ della Tenuta Presidenziale di Castelporziano hanno perso il 43% della loro superficie dal 2000 a causa dei prelievi idrici e dell’impatto climatico. Questi specchi d’acqua, ricchi di macroinvertebrati e specie rare, necessitano di interventi urgenti per essere preservati.
Richieste di intervento
Di fronte a questa emergenza, Legambiente ha sollecitato il Governo italiano a prendere provvedimenti concreti per la salvaguardia degli ecosistemi acquatici. L’associazione ambientalista denuncia i ritardi nell’applicazione della Strategia dell’Ue sulla Biodiversità per il 2030 e della Nature RestorationLaw, normative cruciali per la protezione degli habitat naturali. Secondo l’UE, l’Italia dovrà presentare entro settembre 2026 un piano nazionale per il ripristino ambientale, al fine di riportare in buone condizioni almeno il 30% delle aree naturali degradate entro il 2030 e il 90% entro il 2050. Stefano Raimondi, Responsabile biodiversità di Legambiente, ha sottolineato il ruolo fondamentale delle zone umide nel mitigare gli effetti della crisi climatica: “Questi ecosistemi non solo conservano la biodiversità, ma svolgono un’azione essenziale nell’assorbire il carbonio, ridurre il rischio di inondazioni e contrastare la siccità”. Per questo, secondo l’esperto, l’Italia deve accelerare gli interventi per la protezione di queste aree, evitando ulteriori richiami dall’Unione Europea per il mancato rispetto delle direttive ambientali.
Un patrimonio da salvare
Le zone umide rappresentano una risorsa inestimabile per l’equilibrio ecologico e per la protezione dagli effetti sempre più estremi del cambiamento climatico. Il loro degrado rischia di compromettere non solo la fauna e la flora che le abitano, ma anche la sicurezza idrica e agricola di intere regioni. Per questo domani, in occasione della Giornata Mondiale delle Zone Umide, lo slogan ʼProteggere le zone umide per il nostro futuro comuneʼ suona più che mai come un monito per le istituzioni e per la società intera: valorizzare, proteggere e ispirare un cambiamento concreto, prima che sia troppo tardi.