giovedì, 30 Gennaio, 2025
Economia

Mezzogiorno in crescita: Pil +1,5% nel 2023, ma il divario con il Centro-Nord supera i 18mila euro pro capite

Secondo i dati Istat, il Sud Italia traina l’economia con un tasso di sviluppo doppio rispetto alla media nazionale

Il 2023 ha delineato un’Italia a due velocità, almeno secondo il report pubblicato ieri dall’Istat secondo il quale l’economia del Paese ha registrato dinamiche differenziate tra le varie aree del Paese, evidenziando il Mezzogiorno come protagonista di una crescita economica significativa. Secondo i dati ufficiali dall’Istituto di statistica, il Pil nazionale in volume è aumentato dello 0,7% rispetto al 2022, con il Sud che ha mostrato il tasso di crescita più elevato (+1,5%), superando di gran lunga il Nord-Ovest (+0,7%), il Nord-Est (+0,4%) e il Centro (+0,3%). Questo risultato segna un’inversione di tendenza rispetto a un passato recente in cui il Sud Italia ha spesso sofferto di stagnazione economica. La performance positiva del Mezzogiorno è stata trainata da una forte crescita nel settore delle Costruzioni (+7,3%) e dei Servizi finanziari, immobiliari e professionali (+2,8%). Nonostante questo, il settore industriale è rimasto stabile, mentre l’Agricoltura ha registrato una contrazione più contenuta rispetto alla media nazionale (-2,1% contro -3,5%).
Ma il Pil pro capite nel Mezzogiorno si conferma significativamente inferiore rispetto al resto del Paese, attestandosi a circa 23.900 euro annui, ben al di sotto della media nazionale e con un divario crescente rispetto al Centro-Nord, che raggiunge una differenza di 18.300 euro.

Nord-Ovest e Nord-Est

Nel Nord-Ovest, il Pil è cresciuto in linea con la media nazionale (+0,7%), grazie a un incremento dell’agricoltura (+4,8%) e delle costruzioni (+5,4%). Tuttavia, il settore industriale ha mostrato una flessione significativa (-1,9%). Nel Nord-Est, la crescita economica si è limitata allo 0,4%, penalizzata da una contrazione nei settori dell’Agricoltura (-8,0%) e dell’Industria (-1,1%). Nonostante ciò, le costruzioni (+6,1%) e il commercio (+2,0%) hanno contribuito a sostenere l’economia regionale.
Nel Centro Italia, il Pil è rimasto quasi stabile (+0,3%), con marcate flessioni nei settori dell’agricoltura (-8,2%) e dell’Industria (-3,1%). Al contrario, le costruzioni hanno registrato un incremento significativo (+8,6%), dimostrando la resilienza di questo comparto anche in un contesto economico generale debole.

Crescita regionale

A livello regionale, la Sicilia e l’Abruzzo hanno guidato la crescita economica con un incremento del Pil pari al 2,1%, seguite da Liguria (+1,7%) e Valle d’Aosta (+1,4%). Anche altre regioni del Mezzogiorno, come Calabria (+1,3%), Campania e Sardegna (+1,2%), hanno registrato risultati sopra la media nazionale. Al contrario, regioni come il Friuli-Venezia Giulia (-0,5%) e la Toscana (-0,1%) hanno subito un calo o una sostanziale stagnazione.
I consumi finali delle famiglie sono cresciuti dell’1% a livello nazionale. Le variazioni più significative si sono registrate nel Nord-Est e nel Centro (+1,1%), mentre il Mezzogiorno ha mostrato un incremento leggermente inferiore (+0,9%).
A livello regionale, la Provincia autonoma di Trento ha registrato l’aumento più rilevante (+2,1%), seguita da Valle d’Aosta, Bolzano e Toscana. Al contrario, regioni come Calabria e Sardegna hanno evidenziato crescite più contenute.

Occupazione

Il numero di occupati è aumentato dell’1,9% a livello nazionale, con il Mezzogiorno che ha mostrato il miglior risultato (+2,6%), seguito dal Nord-Est (+2,0%). Questa crescita è stata trainata soprattutto dai servizi (+2,8%) e dall’industria (+3,5%), con un contributo significativo anche dalle costruzioni (+2,0%). Ma permangono sfide rilevanti, come l’alto tasso di economia sommersa nel Mezzogiorno, che rappresenta il 16,5% del valore aggiunto, un dato nettamente superiore alla media nazionale.

Ricchezza netta delle amministrazioni pubbliche italiane

Sempre ieri è stato pubblicato Il rapporto congiunto di Banca d’Italia e Istat che evidenzia un peggioramento della ricchezza netta delle amministrazioni pubbliche italiane, che alla fine del 2023 si attesta a -1.432 miliardi di euro, in calo rispetto ai -1.184 miliardi del 2022. Questo deterioramento riflette un forte aumento delle passività (+8,8%), trainato principalmente dall’incremento dei titoli pubblici (+9,5%), prestiti (+26 miliardi) e conti passivi legati, tra l’altro, ai bonus edilizi. Al contrario, la ricchezza lorda è cresciuta solo dello 0,9%, sostenuta principalmente da attività non finanziarie come immobili e opere del genio civile.
L’Italia, rispetto a Paesi come Francia e Germania, ha mostrato un peggioramento più marcato nel rapporto tra ricchezza netta e Pil, simile però a quanto osservato nel Regno Unito. Mentre in Francia e Germania il deterioramento durante la crisi pandemica è stato compensato da una crescita delle attività, l’Italia ha risentito maggiormente dell’aumento delle passività.

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