Prima che scoppiasse la fase critica della pandemia, i giornali erano pieni di retroscena sulle manovre in corso tra i partiti di governo che prefiguravano gli scenari più disparati. Tutto partiva dal movimentismo di Renzi che, con i suoi 30 deputati, è ininfluente per la maggioranza alla Camera mentre diventa determinante, con i suoi 17 senatori, a Palazzo Madama. Prima di febbraio tutti si chiedevano: Renzi vuole la crisi? Vuole sostituire Conte? Ha un patto segreto con Salvini? e via di questo passo.
Poi il virus ha zittito tutti, anche se per qualche giorno è circolata la strampalata idea di dar vita ad un governo di unità nazionale con una crisi di governo proprio mentre in Lombardia, Piemonte, Emilia-Romagna e Veneto si scatenava l’inferno dei contagi e dei decessi.
Ci ha pensato il Presidente della Repubblica a mettere un punto fermo: di crisi al buio, senza che siano già pronte soluzioni alternative concrete e praticabili, non se ne parla.
E così sembrava tornata la calma, una sorta di chiusura della maggioranza su sé stessa, obbligata dalle circostanze.
Poi è venuto il fulmine a ciel sereno di Renzi che, nel suo intervento sull’informativa di Conte, ha usato toni da opposizione e contenuti da ultimatum.
Apriti cielo. Tutti i retroscenisti hanno ritirato fuori dai cassetti le varie ipotesi di due mesi fa e ci hanno aggiunto anche presunte manovre di esponenti del Pd che punterebbero mandare a casa Conte per prenderne il posto.
Ma cosa davvero bolle in pentola nella maggioranza? Probabilmente nulla. Rispetto a ottobre lo scenario è profondamente mutato. Quando Renzi partoriva Italia viva era sicuro di poter attrarre nel suo partito transfughi da Forza Italia e insoddisfatti del Pd e puntava in breve tempo ad un 10% di consensi. Oggi è accreditato intorno al 2%.
Di Maio, che si era vista sfuggire la Presidenza del Consiglio, offertagli da Salvini per impedire il governo col PD, aveva dovuto piegare la testa a Grillo ma aveva iniziato una guerriglia contro Conte. Esito di questa strategia: le sue dimissioni da capo politico dei 5Stelle e, come per contrappasso, la necessità di sostenere Conte, di fronte all’offensiva della destra capitanata da Di Battista.
Nel Pd, i malumori sulla presunta sudditanza del partito ai 5 Stelle, si sono spenti e, dopo le elezioni regionali in Emilia-Romagna, la leadership di Zingaretti si è perfino rafforzata. Il Pd ha recuperato consensi e, aiutato dall’emergenza, ha fatto prevalere una linea di ragionevolezza anche tra i 5 Stelle soprattutto sui temi europei.
Da parte sua Conte, anche commettendo alcuni errori di comunicazione, ha condotto la barca del Governo senza sbattere sugli scogli, e la sua popolarità è intorno al 60%.
L’emergenza sanitaria è tutt’altro che finita e quella economica sta per apparire in tutta la sua gravità. Gli italiani, alla fine, hanno dato credito alle scelte del Governo sul lockdown e pochi pensano che sia stata una decisione sbagliata, dal punto di vista sanitario.
Ora però c’è la sfida dell’economia e della tenuta sociale. Su questo terreno Conte deve saper conquistare la stessa credibilità che gli è stata riconosciuta sulle misure sanitarie.
La vera sfida è tutta qui. Chi nella maggioranza freme deve saper produrre idee di politica economica originali, efficaci e praticabili. Gli italiani adesso non vogliono sentire comizi e artifici retorici ma si aspettano soluzioni concrete e rapide a problemi drammatici. E il populismo, vero virus che infetta la politica, è il peggior consigliere, sia per Conte che per coloro che lo criticano.
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