A scadenza fissa, puntualmente, quando a qualche vecchio professore viene la fregola di costruire, in laboratorio, un nuovo partito cattolico o dei cattolici di centro che guardi e graviti a sinistra, si ripropone cioè la cosiddetta “questione cattolica”. Questa volta il dibattito e “le grandi manovre” sono nate dalla discesa in campo dell’ex Direttore dell’Agenzia delle Entrate Ernesto Maria Ruffini che si è proposto come “federatore” di un’area che va da Renzi a Calenda a Del Rio ed a Gentiloni.
Si parte dalla comune constatazione della attuale irrilevanza del mondo cattolico in politica e nella società che è sotto gli occhi di tutti.
Dunque è l’ennesimo tentativo di trovare spazio oltre i partiti tradizionali attualmente sulla piazza.
Una strada che vorrebbe apparire nuova ma che è antica e già sperimentata con risultati fallimentari che tutti sappiamo come andarono a finire. (Todi 1 e Todi 2) e che soprattutto non tiene conto dell’insegnamento venuto dalle recenti elezioni statunitensi nelle quali si è registrato il ruolo determinante del cattolicesimo conservatore. In pratica si vorrebbe riesumare ora una specie di “Ulivo” nell’ambito del quale si collocò il cristianesimo legato ad alcune associazioni ecclesiali, veri e propri “cobas” del mondo cattolico, storicamente antiromano con derive protestantiche. In pratica si trattava di un mondo sostanzialmente critico rispetto alla linea dottrinale “ortodossa”.
Come si vede, la storia si ripete, anche se l’esperienza avrebbe dovuto pur aver insegnato qualcosa.
C’è da domandarsi perciò se la nuova aggregazione possa essere una strada praticabile ed opportuna per risolvere la “questione cattolica”.
In realtà non c’è il rischio di creare uno strumento creato in laboratorio, senza alcun radicamento nella società, artificioso e velleitario?
Anche perché viene da chiedersi perché un’operazione di questo tipo, venga “pensata” e promossa oggi quando ormai ha dato tutti i suoi frutti avvelenati: l’attacco senza precedenti ai cosiddetti “principi non negoziabili”, alla famiglia, alla vita, alla scuola libera, la stepchild adoption, l’utero in affitto, l’inseminazione artificiale, l’introduzione di fatto dell’eutanasia e delle teorie gender nelle scuole ecc. ecc.?
Quali allora sono oggi – dobbiamo chiederci – i rischi che corrono i cattolici che tentino un approccio diretto con la politica e si lancino in un’avventura di questo tipo?
Innanzitutto c’è il problema della mancanza di leadership: se ci si guarda in giro, c’è il deserto e senza la quale non potrà nascere una nuova identità politica e nemmeno abbozzare una nuova proposta politica.
Ed allora non sarebbe più opportuno e più in linea con l’insegnamento della Dottrina sociale della Chiesa puntare sul rilancio dei corpi intermedi?
Di fronte al deserto della rappresentanza intermedia ed al vuoto pneumatico tra potere di vertice, istituzioni, la stessa politica e la base sociale del Paese, va rivitalizzato proprio quello spazio intermedio che sta tra la globalizzazione ed i territori locali con tutti i suoi corpi sociali: famiglia, ordini professionali, associazioni di categoria, le imprese, le associazioni di volontariato, il terzo settore.
Si tratta, insomma, di fare un grande lavoro per ricostruire la società nella sua dimensione intermedia. Per questo bisogna restare, da un lato, sul territorio e, dall’altro, interpretare gli interessi particolari dei diversi soggetti sociali e politici, evitando di lanciarsi in avventure azzardate, nostalgiche e prive di concrete prospettive future.
Riccardo Pedrizzi
Presidente Nazionale del CTS dell'UCID