Un caso politico le dimissioni del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, ma apre una riflessione sul difficile rapporto tra contribuenti e riscossione
Le dimissioni del direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, hanno suscitato un certo scalpore e sorpresa nel mondo politico e istituzionale. Ruffini, 55 anni dal 2020 a capo dell’Agenzia, oggi rivendica di aver gettato la spugna perché il “clima è cambiato”, assicurando nel contempo di non aver nessuna intenzione di intraprendere un ruolo politico. Il direttore dimissionario dell’Agenzia delle Entrate, spiega: “Rivendico il mio diritto di parlare. Non mi era mai capitato di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato. Oppure di sentir dire che l’Agenzia delle Entrate tiene in ostaggio le famiglie”. Vedremo gli sviluppi del caso “Ruffini”, che comunque suscita l’attenzione di diversi esponenti centristi (di destra e di sinistra) di sponde opposte, da Pierferdinando Casini, a Gianfranco Rotondi, fino a Bruno Tabacci e Matteo Renzi, per citarne alcuni. Quello che invece ci preme oggi sottolineare è il contesto in cui nasce questa presa di posizione del direttore dell’Agenzia delle Entrate, cioè, il disappunto verso come il Governo del premier Giorgia Meloni punti sulla riforma del fisco. Il nodo, sembra di capire che l’azione del direttore Ruffini sia stata delimitata o addirittura chiosata da esponenti dell’esecutivo. Detta così la storia è solo una faccia della medaglia. Dall’altra, invece, si assiste ad un rapporto tra fisco e cittadini dove non tutto quadra. Dal punto di vista dei contribuenti, dei professionisti con partita Iva e delle piccole imprese, il fisco non è quella panacea di dialogo costruttivo. Il sistema di riscossione, ad esempio, è indicato dalle Confederazioni di categoria gravato da un eccesso di complicazioni, con punte di presunzione e arroganza, dove lo Stato non ha sempre ragione. Lo dimostrano anche studi e numeri.
In 16 milioni segnalati
In primo luogo osserviamo la situazione economica dei cittadini – parliamo di persone comuni -. Nonostante un contesto incerto le famiglie non hanno smesso di rivolgersi agli istituti di credito per sostenere i propri consumi e gli investimenti. Oltre la metà della popolazione in Italia (il 52,7%) ha un contratto di credito rateale attivo, la platea nel 2024 è in crescita del 2,6%.
Nel contempo l’interesse sui prestiti erogati alle famiglie per l’acquisto di abitazioni sono saliti ad agosto al 4,10%. Si acquista, si stipulano mutui, ma la situazione finanziaria delle famiglie è in salita. Così si registra un record di segnalazioni alla Centrale Rischi di Intermediazione Finanziaria, la Crif, perché poi basta non pagare la rata di un telefonino e banche e finanziarie dicono no al prestito. Il risultato è un numero incredibile, tanto che risultano segnalati nelle banche dati come cattivi pagatori oltre 16 milioni di Italiani. Fatto ancora più sconcertate, che circa 6 milioni di ex “cattivi pagatori” pur avendo regolarizzato la propria posizione debitoria con Istituti di Credito, hanno comunque uno stop all’ottenimento di un prestito.
I piccoli pagano i big fanno festa
Altro tema non meno importante per comprendere il difficile rapporto tra fisco e cittadini, è l’esempio di piccole e micro imprese che in Italia sopportano una tassazione onerosa, di 24,6 miliardi l’anno, mentre, le 25 multinazionali del web presenti nel Paese, versano, secondo l’Area Studi di Mediobanca appena 206 milioni di euro. In Italia, quindi alle grandi multinazionali, continua a essere riservato un prelievo fiscale modesto con i reclami delle Confederazioni produttive.
Sprechi, la PA batte tutti
Altro capitolo di questo puzzle è l’evasione fiscale, con una premessa – chi fa il furbo contro lo Stato non ha nessuna giustificazione nel farlo – ma bisogna dire che se l’evasione è un problema, lo è anche l’inefficienza della pubblica amministrazione. La dimensione economica dell’evasione in capo agli italiani assommerebbe a 83,6 miliardi di euro. Risorse che, a causa dell’infedeltà fiscale di taluni, vengono sottratte allo Stato e quindi alla collettività, danneggiando in particolare, le fasce sociali più deboli del Paese. Un importo, tuttavia, pari alla metà di quello che i cittadini e le imprese sarebbero chiamati a “sostenere” a seguito degli sprechi, degli sperperi e delle inefficienze presenti nella pubblica amministrazione, che, secondo la società di analisi socio economiche, la Cgia di Mestre, “ammonterebbe ad almeno 180 miliardi di euro l’anno”.
Crediti inesigibili e condono
C’è il tema, infine, dei crediti in buona parte inesigibili del Magazzino fiscale che hanno raggiunto un valore di 1.200 miliardi di euro. Crediti fiscali, ripartiti fra circa 163 milioni di cartelle, avvisi di addebito e avvisi di accertamento esecutivo. I dati erano stati evidenziati dallo stesso direttore dell’Agenzia delle Entrate, Ernesto Maria Ruffini, e sono riferiti al 31 dicembre 2023. Con grande onestà Ruffini segnalò “che buona parte di questo ammontare non è recuperabile” e che restano “101 miliardi da riscuotere”. Il direttore dimissionario dell’Agenzia delle entrate osservò che per i soggetti debitori ci sono: “limitazioni alla riscossione per interventi del legislatore” che prevedono l’inimpugnabilità della prima casa o dei beni strumentali a tutela del contribuente. Questo il quadro, a cui possiamo aggiungere che buona parte del Magazzino fiscale è fatto di quella “evasione di sopravvivenza”, per importi modesti, mentre buchi colossali sono stati fatti da aziende di Stato che sono state alimentate a suon di miliardi con esiti molto limitati, se non catastrofici per le casse pubbliche e le tasche dei cittadini. Tant’è che più volte abbiamo ipotizzato – solo per reati modesti – un condono tombale che ridia almeno a quanti sono bloccati la possibilità di ripartire. All’ex direttore Ernesto Maria Ruffini, invece, vanno i nostri auguri e un in bocca al lupo per tutto ciò che vorrà intraprendere e realizzare.