Le notti a Kiev sono agitate. Era ancora buio quando i sistemi di difesa hanno intercettato movimenti sospetti nei cieli. In tutto ci sono stati tre allarmi aerei, il primo a mezzanotte e mezza, seguito un altro intorno alle 2 del mattino, e un terzo scattato verso le 4. Subito ci siamo alzati dai nostri letti e ci siamo diretti, insieme agli altri ospiti dell’hotel in cui alloggiamo, al piano meno 2, nel parcheggio allestito a rifugio sotterraneo con letti, tavolini, divani. Acqua calda con bustine di té erano pronte a chi volesse servirsi nell’attesa che l‘allarme fosse cessato.
Molti ospiti, evidentemente più abituati di noi, si erano organizzati con cuscini e coperte, e si apprestavano a passare la notte nel parcheggio. Abbiamo imparato a prepararci meglio per la notte successiva, per passare le ore con qualche comfort in più, se dovesse ripetersi una nottata così agitata.
Le notizie dal cellulare
L’atmosfera, in fondo, non aveva nulla di particolarmente drammatico nella sua apparenza: auto parcheggiate ordinatamente, sedie e puf sparsiqua e là, qualche persona intenta a scorrere le notizie sul cellulare o semplicemente a lavorare al computer.
Abbiamo trascorso diverse ore lì, nel parcheggio-rifugio, quasi tutta la notte. Abbiamo appena fatto in tempo a risalire in camera che anche il secondo allarme è scattato e poi il terzo, durato fino alle 8 del mattino. Qualcuno leggeva, altri si scambiavano poche parole; gli addetti della reception, abituati da più di mille giorni di guerra, non apparivano affatto nervosi. Quando finalmente è arrivato il cessato allarme, era già mattina inoltrata, ma la città sembrava sospesa, come in attesa di un altro scossone.
Mercoledì 20, appuntamenti saltati.
La giornata di mercoledì infatti è stata segnata da appuntamenti saltati. Avevamo in programma incontri con funzionari e rappresentanti di organizzazioni internazionali, ma verso le 10 del mattino l’ambasciata americana ha rilasciato un comunicato: a causa del rischio di ulteriori attacchi aerei durante la giornata, si consigliava di restare in luoghi sicuri. Anche le ambasciate italiana e spagnola (almeno) sono rimaste chiuse per precauzione.
La città reagisce
Tuttavia Kiev si sveglia e si muove; il traffico non si è fermato, i ristoranti, i negozi, tutto continuava, ma sempre con un occhio al cielo e un orecchio teso ai segnali d’allarme. Un ulteriore allarme è scattato alle 13.49, durato poco meno di 40 minuti. Per noi giornalisti, raccontare ciò che accade in queste condizioni significa anche misurarsi con una logistica imprevedibile. Ci siamo trovati a dover riadattare continuamente i piani, muovendoci con cautela e raccogliendo le voci di una città che cerca di resistere, nonostante tutto.
La sicurezza resta una priorità, e anche il nostro hotel è diventato una sorta di microcosmo, dove si intrecciano storie di chi, come noi, si trova a vivere questa esperienza da una prospettiva privilegiata, ma comunque vulnerabile. Le ore passate nel rifugio sono un promemoria costante: qui, ogni giorno può essere quello in cui tutto cambia.
La tensione che si allenta
Alla fine, non è successo nulla di grave. Gli allarmi sono rientrati, e il centro città, la zona in cui ci siamo mossi, pur con estrema cautela, non ha subito attacchi significativi. Ci siamo persino concessi una breve passeggiata intorno all’hotel e un veloce pranzetto in un ristorantino georgiano, sebbene verso le 3 del pomeriggio. Ma il vero impatto di queste giornate non sta nei numeri o nei fatti tangibili, bensì nella tensione che si insinua sotto la pelle, nel modo in cui altera le abitudini, i ritmi, e persino i pensieri. Kiev continua a resistere, e noi continuiamo a raccontarla, consapevoli che ogni parola è una testimonianza preziosa in un contesto dove la normalità è un ricordo lontano.