giovedì, 19 Dicembre, 2024
Attualità

Volti e voci di una città sospesa tra paura e l’inizio di un nuovo giorno

Da Roma a Kiev : il viaggio de La Discussione

Partenza 16 novembre: i controlli di frontiera

Il Viaggio da Roma a Kiev non è difficile, ma certamente molto lungo e scomodo: gli aerei civili non sorvolano più l’Ucraina. Si può entrare dalla Moldavia, come ci hanno spiegato alcuni colleghi di RaiNews che abbiamo incontrato in albergo, o dalla Polonia, come abbiamo fatto noi della Discussione. Da Varsavia si prende un treno regionale che porta fino al confine, nella cittadina di Chelm. Dopo un’ora di sosta per i controlli di frontiera da parte delle forze dell’ordine polacche, abbiamo passato il confine per fermarci un’altra ora, dove dei soldati ucraini hanno preso tutti i passaporti, e li hanno portati in un ufficio per controllarli uno per uno. Sin dai controlli, passato il confine dell’Ue, si respira una atmosfera ben più severa. Per nostra fortuna c’era con noi, nello scompartimento, una giovane ragazza che dal Lussemburgo, dove vive e lavora, stava andando a trovare i suoi genitori in un piccolo villaggio alla frontiera con la Polonia: l’unica che parlava inglese e che ci ha tenuti informati sugli ultimi avvenimenti bellici durante le 12 ore di viaggio successive. Proprio la sera prima del nostro arrivo la Russia aveva sganciato uno degli attacchi più massicci dall’inizio della guerra; sicuramente in reazione all’autorizzazione di Biden a usare armi a lungo raggio.

Arrivo 17 novembre: l’odore della guerra

Siamo arrivati alla stazione centrale di Kiev verso le 23.00. Appena sbarcati, siamo stati invasi da un odore acre di metallo bruciato: l’odore della guerra, delle bombe. Ci siamo rivolti allo sportello informazioni per chiamare un taxi, ma non parlavano inglese. Ma ecco che una signora che parlava italiano ci ha aiutati chiamando per noi il nostro contatto a Kiev e un taxi. Aspettando il taxi che ci portasse in albergo – di fretta: il coprifuoco scatta a mezzanotte – ho incrociato lo sguardo con un ragazzo sui 19 anni, in divisa mimetica. Stava entrando nella stazione, fumava una sigaretta nervosamente, accompagnato da una ragazza che gli accarezzava la spalla in silenzio. Occhi tristi di chi deve andare al fronte e non sa che fine farà lui e il suo paese. Questa è la prima impressione che ci hanno dato gli Ucraini: subito disponibili ad aiutare due stranieri in piena notte alla stazione, e tuttavia distaccati; saranno forse gli occhi azzurri a dargli quell’aria un po’ triste un po’ fredda. All’albergo, oltre alle solite formalità, ci hanno fatto firmare un foglio in cui si spiegava dove e come andare al piano -2, in caso di attacco su Kiev. Firmando, abbiamo dichiarato che ci prendevamo la responsabilità di andare effettivamente al sicuro qualora fosse suonato l’allarme. Ma per fortuna abbiamo dormito indisturbati per tutta la notte; caso che non si è ripetuto la notte successiva.

Primo giorno: 18 novembre, la vita a Kiev

Siamo andati a conoscere Olena e Bohdan, i direttori del National Institute for Development Infrastructure (NIDI), il principale istituto di ricerca dell’Ucraina per la costruzione e il mantenimento di autostrade e trasporti. Abbiamo visitato il loro laboratorio, in cui si testano i materiali edili, dalla resistenza al fuoco fino alla durezza del bitume. Oggi, il NIDI collabora con il governo e con l’università di Kiev per elaborare i piani per la ricostruzione delle infrastrutture quotidianamente attaccate dai missili e dai droni russi. Poi siamo andati a cena in un ottimo ristorante ucraino proprio di fronte all’ambasciata italiana. Ne abbiamo approfittato per fare alcune domande al proprietario del locale e intervistarlo. Neanche ricorda, ci ha detto, com’era la vita prima della guerra. Ovviamente abbiamo mangiato il famoso pollo alla Kiev, molto buono, abbiamo bevuto dell’ottimo vino rosso ucraino e, per finire, non poteva certo mancare una vodka locale, ghiacciata e, strano a dirsi, estremamente delicata. Nessun bruciore alla gola ci ha portati a sottovalutarne la pericolosità. Alla terza eravamo storditi e confusi, pronti per tornare in albergo a dormire. La seconda notte l’allarme è scattato. Non una sirena, ma una voce femminile estremamente calma che dall’altoparlante invitava a recarsi nei piani sotterranei e mettersi al sicuro. La vita, nel centro di Kiev, in effetti continua tranquilla, come sempre. Non fosse per gli allarmi notturni, per qualche foro più o meno grande che ogni tanto si vede sui palazzi, bellissimi e colorati, per qualche militare armato che si incrocia passeggiando, forse non ci accorgeremmo della situazione. Ormai, evidentemente, la popolazione civile è abituata alla guerra, come ci diceva il proprietario del ristorante; e, forse, gli ucraini hanno interiorizzato per esperienza storica cosa significa avere un vicino, un parente, come la Russia.

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