mercoledì, 13 Novembre, 2024
Attualità

‘Ritratti. Storie di costume’: il nuovo libro di Elena D’Ambrogio Navone celebra le icone senza tempo

Presentata la nuova opera della scrittrice, da Alain Delon a Helmut Newton, da Yves Saint Laurent a Gianni Agnelli

Immaginate una passerella su cui sfilano icone senza tempo: Alain Delon e Yves Saint Laurent, Andy Warhol e Vittorio Gassman, Maria Callas e Coco Chanel, Gianni Agnelli e Helmut Newton. Personaggi che vanno dalla famiglia reale inglese ai grandi giornalisti italiani, dai fotografi che hanno immortalato e cambiato la Storia ai cantanti, stilisti e attori che hanno illuminato il mondo con la loro arte, il loro stile e il loro pensiero. La scrittrice Elena D’Ambrogio Navone ne cattura l’essenza in una serie di ritratti d’eccezione all’interno del suo nuovo libro ‘Ritratti. Storie di costume’ (Castelvecchi Editore), cogliendone non solo l’immagine pubblica, ma anche l’anima privata. Con eleganza e rigore, ci accompagna in un viaggio alla scoperta di ciò che ci affascina e in cui riconosciamo il talento, di ciò che vorremmo essere. Un’opera che va oltre la semplice biografia, alla scoperta di un caleidoscopio di vite straordinarie.

Questo il sunto della nuova opera della D’Ambrogio Navone (dell’agenzia letteraria Delia) presentata al Mondadori Bookstore di piazza Cola di Rienzo, a Roma, con l’introduzione di Luigi Tivelli e con gli interventi di Simona Izzo e Ricky Tognazzi.

Elena D’Ambrogio Navone, la sua carriera è molto varia, con esperienze nel mondo editoriale e nel giornalismo e ha una rubrica di costume, società e cultura su Novella 2000.
Cosa l’ha spinta della sua esperienza a occuparsi di storie vere e di icone culturali? Come è nato ‘Ritratti. Storie di costume’?
“Ho cominciato a scrivere facendo dei romanzi, ma non mi sentivo del tutto appagata. Allora sono passata alle storie vere: ho cominciato da quella molto particolare di mio suocero, Giorgio Navone, una storia che ha colpito moltissimi lettori per la sua verità. Lì ho capito che il mio posto da scrittrice stava nelle storie vere. Perciò i miei articoli su Novella 2000 sono delle storie vere. Sono quelle che mi appassionano, perché la realtà supera ogni fantasia autoriale e perché nelle storie vere ci metti il naso, le mani, e capisci quanto sia stupefacente la vita. Le storie degli altri le fai tue perché tratteggiano cose che ci sono capitate o che in qualche modo ci sono vicine. Il progetto in sé è nato da un’idea del direttore di Novella 2000, Roberto Alessi, che mi ha proposto di occuparmi di personaggi iconici della cultura popolare per farne delle storie di costume nella tua rubrica. Ed è quello che ho fatto: ho partecipato a ricorrenze, eventi e presentazioni, ho intervistato, di persona o per telefono, personaggi contemporanei per raccogliere le loro storie, e ho scelto di farne storie di costume in maniera, per così dire, aristotelica: il bello e il buono fanno parte dello stesso pacchetto”.

Qual è stata la persona simpatica e quale la più ostica da intervistare?
“Sicuramente Lino Banfi, l’intervista con lui è tosta come vedere un suo film, devo dire che la spontaneità che si vede nelle sue interpretazioni era assolutamente la medesima. La storia di Banfi è nota, come la maggior parte dei personaggi di cui parlo che arrivano dalla povertà, che è un grande sprone per chi sa tirar fuori il meglio di sé. C’è sempre in chi sa far ridere uno sfondo di tristezza; Banfi infatti vede sempre il bicchiere mezzo vuoto, perché si dice: se capita qualcosa di brutto, almeno sono preparato. È questo ottimismo cauto che mi ha fatto riflettere”. Il più ostico da intervistare sicuramente Corona. Era agosto, ci siamo sentiti al telefono. Mi hanno detto di chiamarlo per una certa ora, che lui aspettava la mia chiamata. Quando l’ho chiamato, non ha risposto. Richiamo, non risponde. Poi ricevo un messaggio che mi diceva di aspettare un attimo: ‘Ora ti richiamo’. Quando mi richiama mi dice, più o meno, ‘dobbiamo fare questa intervista facciamola, però veloce che io sono in vacanza’. Gli ho detto ‘sarò velocissima, non ti preoccupare’. Inizio a fargli delle domande, ma evidentemente non aveva voglia di rispondere e poco dopo mi ripete: senti, io sono in vacanza, chiudiamo velocemente. Gli ho risposto: ‘per tua informazione sono in vacanza anche io, ma devo scrivere il pezzo su di te. Se vuoi me lo invento, però forse non ti conviene’. A quel punto mi ha lasciato finire l’intervista”.

Tra i tanti intervistati, con quale avresti continuato a parlare?
“Una persona con cui avrei continuato a parlare sicuramente Michele Cucuzza: è stato gentilissimo. La nostra conversazione è terminata dopo un’ora e mezza, ma è stato talmente piacevole che avrei continuato per tutta la serata. Devo dire che non pensavo che fosse così tanto piacevole la sua compagnia. Un altro che è stato bello intervistare è stato Demarchelier: mi ha fatto morir dal ridere. Per me il nome era legato soprattutto al film ‘Dl diavolo veste Prada’, la famosa battuta ‘hai chiamato Demarchelier?’. Ma poi, andare a sviscerare il suo personaggio, la sua storia di rivalsa di un giovane che viene dal niente, ne sono rimasta affascinata”.

Come sceglie i personaggi da raccontare? C’è un filo conduttore che accomuna queste personalità tanto diverse tra loro?
“Quello che mi ha colpito è proprio questo fil rouge tra i personaggi di cui parlo, che spesso partono da situazioni disagiate e poi però trovano la forza di volontà e nella rabbia questo senso di riscatto. Anche Coco Chanel ha detto ‘io le porte non le ho trovate aperte, le ho dovute spingere’, ha nascosto la sua maternità perché all’epoca sarebbe stato uno scandalo, o anche Ronald Reagan, il sogno americano che più sogno americano non si può. Il criterio di scelta, poi, in pratica dipende sempre da quello che succede, per il mio lavoro con Novella 2000: sono legati a ricorrenze, anniversario della nascita, libro o film in uscita, qualcosa che capita di cronaca”.

Quale personaggio avrebbe voluto intervistare e non ha potuto?
“Bruno Vespa. E ancora lo sto inseguendo. E ancora non mi hanno commissionato di intervistare Al Bano, non c’è stata occasione. Io sono di origine pugliese, quindi siamo corregionari e concittadini. Quando era piccolo, aveva un insegnante che era la sorella di mia nonna, e quindi è un po’ cresciuto a casa di mia zia, con mia mamma che era sua coetanea. Quando l’ho incontrato a Torino si è ricordato della professoressa Maria Tedesco, che dava le bacchettate sulle mani”.

Tra le tante figure che ha descritto, ce n’è una che considera una vera fonte d’ispirazione personale? E se sì, in che modo?
“Alcune delle persone di cui io parlo hanno sentito il bisogno di scrivermi un messaggino per farmi i complimenti della pubblicazione, altre no. Questo mi ha fatto molto piacere, anche se io ho solo riportato la realtà della loro storia e di quello che loro stessi mi hanno raccontato. In particolare ho ricevuto una bellissima sorpresa da Giorgio Armani, su cui io ho scritto due articoli (uno dei quali nel libro), che si è preso la briga di inviarmi una lettera di ringraziamento firmata. Mi ha molto colpito quel che mi ha detto: ‘Non c’è stata forma d’amore nella mia vita che non si sia trasformata in qualcosa di altrettanto meraviglioso’. Da lui, che è una persona molto severa e molto esigente, ho imparato che bisogna essere ricordati per qualcosa di buono, come quando leggi un libro o guardi un film ti rimane qualche cosa che ti ha colpito. Quando leggi un libro, non è che cerchi delle idee; semplicemente puoi trovare dei pensieri già pensati che ti diano delle conferme”.

Che cosa ha imparato da questo lavoro?
“Che siamo tutti uguali. La natura umana, ahimè, è quella che viviamo tutti i giorni nel nostro ambito professionale famigliare e amicale, non cambia di una virgola per questi personaggi. Viene inserito in un arcobaleno di luci chic quando si parla delle icone culturali, ma siamo tutti uguali. Alla fine quindi ci riconosciamo, non perché abbiamo vissuto le stesse cose, ma perché in alcuni tratti è inevitabile che ci si assomigli – anche se poi chi deve fare la parte, fa la parte. Ricordo a questo proposito una cosa che racconto volentieri: Christian De Sica era venuto a Torino qualche anno fa prima del Covid a fare uno spettacolo al Teatro Colosseo. Io avevo portato una ventina di persone, perché l’organizzatore mi aveva chiesto di portare gente. Lui, sul finire dello spettacolo ha detto ‘che peccato è già finito, ma non possiamo farci portare una pizza e continuiamo?’, sembrava che non volesse rimanere solo. Più tardi lo abbiamo aspettato fuori con queste persone per fare un saluto prima di andare a casa, ma quando lui è arrivato, dopo un bel po’ di tempo, vedendoci ha fatto l’aria un po’ seccata di doversi fermare. Ci sono rimasta un po’ male”.

Lei cattura sia l’immagine pubblica sia l’essenza privata di queste figure, andando, come si legge sul retro, oltre la semplice biografia.
“Di questi grandi personaggi, attori fotografi cantanti, si conosce la fama, l’immagine pubblica, ma il loro vissuto, a parte qualche pettegolezzo, non si conosce. Leggendo le loro storie vediamo che quello che capita agli altri non è fuori dal nostro mondo e può darci la forza per andare avanti e la bellezza di essere affscinati e avvolti da quella nostalgia di quelle cose accadute che sono un bagaglio importante, da cui tirare fuori qualcosa. Anche per questo parlo in un ambito temporale dell’ultimo secolo, in cui ci ritroviamo, perché hanno tratteggiato anche la nostra storia”.

Oltre a ‘Ritratti’, ci sono altri progetti o figure storiche che le piacerebbe esplorare in futuro?
“Continuo a collaborare con Novella 2000 e non mi dispiacerebbe di far uscire un altro libro. Anche perché questi personaggi sono talmente interessanti che puoi farne una maniera per sentirli non più vicini, ma umani, riconoscere in loro quei difetti e quelle cose positive che abbiamo anche noi”.

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