Eguaglianza e libertà nella società moderna
L’uguaglianza è uno dei postulati della coscienza sociale moderna. Si sa che soprattutto la Rivoluzione Francese, ispirandosi al principio della uguaglianza fondamentale, ha inteso restaurare i diritti della libertà di tutti i cittadini contro gli assolutismi precedenti, contribuendo così alla creazione della mentalità politico-sociale del secolo XIX e determinando una svolta decisiva nello sviluppo delle pubbliche istituzioni. Quasi nello stesso periodo si andava formando oltre oceano la nuova realtà sociale del popolo americano (Stati Uniti d’America), sulla base di leggi e tradizioni che ripetevano in tutt’altro contesto sociologico e con notevoli differenze ideologiche, quegli “immortali principi” ispiratori della vita politica e sociale moderna.
Una carica fortemente emotiva potè far trascendere gli animi fino alle concezioni utopistiche e gli atteggiamenti romantici intorno a ordinamenti politici fondati su un assoluto egualitarismo, con la conseguente eliminazione delle differenze sociali, della proprietà privata e persino dello Stato e delle leggi, in nome dell’uguaglianza naturale, da ristabilire come “conditio sine qua non” della libertà, che la organizzazione sociale avrebbe sottratto all’uomo. Anche il comunismo conobbe alle origini, specialmente in Francia, una forte dose di lotta barricadera e disorganica, di scarsa efficacia pratica. Fu Marx a dare una importanza scientifica all’ideologia e all’azione sociale comunista.
In nome della libertà, tuttavia, il filone liberale che deriva dalla Rivoluzione Francese, portò a nuove disuguaglianze sul piano economico, sociale e politico, con nuove discriminazioni tra i cittadini a volte sanzionate anche giuridicamente (come le limitazioni alla libertà di organizzazione sindacale e quindi all’azione di conquista della parità dei diritti civili da parte delle classi lavoratrici, o con l’abolizione degli istituti religiosi), con notevoli illogismi pratici per rapporto alle promesse teoriche, come avviene quasi sempre, quando si parte dalla assolutizzazione di un principio o di un valore relativo (come la libertà) a scapito della complessità e organicità del mondo reale.
Forse il marxismo ha seguito una logica ancor più ferrea nella sua traduzione comunista; che però negli ultimi anni ha dovuto arrestarsi e modificarsi dinanzi alla forza della realtà concreta, specialmente sul piano economico.
Ma nelle teorie politiche e sociali originate o promosse dalla Rivoluzione Francese, oltre la carica che possiamo dire mistica, spiegabile con le particolari condizioni dell’epoca, e svanita sotto la pressione di condizioni nuove; oltre le impostazioni ideologiche, fondate su una filosofia dell’uomo incompleta o falsa, o rivelatesi incapaci di creare quelle nuove condizioni che sono indispensabili ad un vero ed effettivo sviluppo della persona umana, si possono cogliere alcuni valori emergenti, che, sfrondati da ogni mitologismo e ideologismo contingente, rappresentano condizioni storiche di grande importanza: a) l’eguaglianza civile espressa nella formula “la legge è uguale per tutti”), come eliminazione del privilegio e della discriminazione sociale, adozione dello Stato di diritto e conferimento a tutti i cittadini di un medesimo statuto giuridico; b) l’eguaglianza politica, come riconoscimento del diritto di tutti a partecipare con voce attiva e passiva alla vita dello Stato e a controllare l’operato dei pubblici poteri.
Su questi due pilastri poggia l’ordinamento costituito in base al principio di uguaglianza e da perfezionare con sempre nuove acquisizioni di socialità.
Il messaggio cristiano
Il cristianesimo ha proclamato per primo, col principio della dignità della persona umana, anche il principio della fondamentale uguaglianza di tutti gli uomini, che aveva la sua immediata attuazione sul piano religioso (essendo tutti diventati “un solo Cristo”), ma con ampi riflessi di ordine economico, come si osserva negli esperimenti comunitari dei cristiani di Gerusalemme, dei quali si legge che “la moltitudine di credenti non aveva che un solo cuore e una sola anima e nessuno considerava proprio qualcosa di ciò che possedeva, ma tutto era comune tra loro” (atti, 4,32).
Tale proclamazione non ebbe (nè poteva avere) degli immediati risultati di ordine sociale e politico, se non per l’opposizione e la persecuzione che suscitò in quegli ambienti che sentirono minato l’ordinamento della società antica, fondato sulla discriminazione e il privilegio: ma depose come un fermento vivo in seno alla società, dove avrebbe operato gradualmente la maturità di una coscienza nuova e il rinnovamento delle istituzioni.
In fondo, anche i valori positivi e permanenti della coscienza politica e sociale moderna hanno la loro lontana origine nel messaggio di fraternità affidato da Cristo ai suoi seguaci e tradotto da Paolo in termini di uguaglianza e solidarietà universale, che risuonano a Roma e in tutto il mondo civile di allora.
In che cosa consiste l’uguaglianza
La dottrina dell’uguaglianza umana si basa certamente su dati di fatto che, anche a prescindere dal riferimento a motivi e criteri trascendenti, si pongono all’osservazione:
a) eguaglianza nei principi naturali costitutivi dell’essere umano, cioè della natura composta di corpo e anima, delle varie facoltà ed energie vitali: intelligenza, volontà, sentimenti, passioni, consapevolezza e responsabilità, coscienza e libertà;
b) eguaglianza nei principi naturali originativi dei doveri e diritti legati alle tendenze e ai bisogni umani fondamentali: il dovere e il diritto di vivere (conservazione, benessere, progresso economico) fondato sull’impulso dell’essere in quanto essere; il dovere e il diritto di riprodursi (matrimonio, famiglia, rapporti sessuali) fondato sull’impulso dell’essere in quanto vivente; il diritto e il dovere di conoscere (cultura, società politica, società religiosa) fondato sull’impulso dell’essere in quanto umano, cioè razionale;
c) eguaglianza nei principi naturali regolativi del comportamento morale: imperativi universali della verità, del bene, della giustizia, della libertà, del progresso, del culto di Dio;
d) eguaglianza nei principi naturali regolativi dei rapporti sociali: imperativi universali della socialità, della collaborazione, della ricerca del bene comune, del rispetto delle persone e dei beni altrui.
Sorge così dalla stessa legge naturale l’esigenza di una fondamentale eguaglianza nel trattamento giuridico dei membri della società per permettere e favorire in tutti la soddisfazione delle esigenze della natura umana sul piano economico, culturale, morale, sociale, r l’inviolabilità dei corrispondenti diritti, eguali in tutti.
Realtà della ineguaglianza
Ma è pure un dato di fatto che tra gli uomini esistono ineguaglianze notevoli, che se non distruggono il principio dell’uguaglianza fondamentale, tuttavia rendono molto difficile la sua pratica applicazione si tratta soprattutto:
a) di ineguaglianze naturali di complessione, di capacità, di talento e di attitudine;
b)di ineguaglianze indipendenti da un insieme di fattori naturali e soprannaturali che nel gioco delle capacità diverse sotto la guida e l’ispirazione di Dio, si traducono nelle “vocazioni” e nei “carismi”, in senso sia sociologico, sia teologico;
c) di ineguaglianze di condizione familiare, sociale, culturale, politica, dipendente dai fattori di cui sopra o anche da cause economiche, morali, sociali, politiche, religiose, che influiscono e condizionano dall’esterno la situazione degli individui e dei gruppi
La contestazione delle ineguaglianze sociali
È intorno a questo terzo tipo di ineguaglianze che spesso sono legittime le contestazioni non solo degli storici e dei sociologi, ma anche dei moralisti, perché in molti casi si tratta di vere ingiustizie. Anche quando sono storicamente e sociologicamente spiegabili, la coscienza morale non può accettarle come un fatto irrimediabile, se ascolta in sé la voce della natura, la voce del cuore e, si direbbe, del sangue.
La protesta del proletariato è nata qui. Ma è stata inquadrata da Marx in una interpretazione della storia. Questa è concepita come un processo determinato da fattori economici che portano a una continua contraddizione tra le forze produttive, che si traducono in forme storiche di servaggio e di sfruttamento degli uni sugli altri. Questo processo cominciato con la prima costituzione della proprietà privata, dovuta alla prepotenza degli uni e alla debolezza degli altri, e che avrebbe creato l’ineguaglianza tra i primi uomini. Secondo Marx, l’uomo originariamente ha acquisito col lavoro le caratteristiche che lo distinguono dagli animali. Ma in questo studio primitivo di evoluzione della specie, le forze produttive erano ancora rudimentali e le ambizioni limitate: il lavoro collettivo produceva il necessario per il sostentamento e non vi era da parte di nessuno lo sfruttamento del lavoro altrui. Con lo sviluppo delle forze produttive cessò la necessità del lavoro collettivo (comunismo primitivo) e ogni famiglia diventò una unità economica a sè stante. Dalla divisione e specializzazione del lavoro derivò la delimitazione dei beni prodotti o comunque acquisiti, la proprietà privata, e quindi lo sfruttamento dei più deboli e bisognosi da parte dei più forti e favoriti, con l’ineguaglianza e la divisione fra le classi. E il processo continuò nella storia, man mano che si perfezionavano i mezzi di produzione, portando nuove divisioni e ineguaglianze e suscitando nuove lotte, come si osserva soprattutto nei tre grandi momenti culminanti della schiavitù antica, del servaggio medioevale e del proletariato moderno.
In questo processo le ineguaglianze sono andate accentuandosi fino a diventare enormi, soprattutto nella contrapposizione tra classe capitalista o borghese e classe operaia o proletaria: tanto che, secondo Marx, un conflitto definitivo deve esplodere e riportare la classe operaia-cioè la maggioranza degli uomini- al possesso collettivo dei mezzi di produzione e alla costituzione di una società di eguali, libera e senza classi.
In tale interpretazione marxista della storia e specialmente del costituirsi del proletariato si cela forse una parte di verità, ma non è accettabile quella riduzione di fattori economici della causalità determinativa delle ineguaglianze e di ogni altro fenomeno sociale. In realtà hanno sempre giocato nella storia dell’uomo, anche nel campo economico, i fattori spirituali e i liberi interventi, specialmente le virtù dell’operosità, del risparmio, come pure i fattori morali negativi: la cupidigia, l’avarizia, l’egoismo. l’ambizione.
Anche senza condividere totalmente l’espressione liberale che tutto affida al gioco delle forze economiche dipendenti dagli individui operanti in piena libertà, con necessarie disuguaglianze, alienazioni e sconfitte, convergenti però verso equilibri sintetici conclusivi; non si può tuttavia ignorare l’importanza che ha sempre avuto l’elemento soggettivo e personale nell’intrapresa e nella direzione dei processi produttivi, nel miglioramento delle tecniche, nel cambiamento delle condizioni di vita personali e collettive. Le ineguaglianze sociali dipendono anche e forse soprattutto da questi fattori, positivi o negativi che siano. Quando sono ingiuste bisognerà combatterle e rimedia non con una sorta di meccanismo sociale, che non tiene conto dei fattori personali se non per un più servizio alla macchina e una più abbondante produzione ( come nello “stakanovismo” ), bensì col massimo incremento dei fattori individuali e collettivi che permettono la massima affermazione dell’uomo libero in un ordinamento che porti al massimo di eguaglianza.
Unità delle ineguaglianze
D’altra parte la verità degli individui e delle classi, oltre ad apparire insopportabile sotto molti aspetti e in molti campi della reale esistenza storica, si rivela anche utile e benefica sempreché siano rispettate le esigenze di uguaglianza scritte nella natura e nella coscienza dell’uomo. E lo è:
a) in ordine all’attuazione totale dell’uomo, che solo nella molteplicità dei talenti e delle capacità realizza l’ideale completo dell’essere umano;
b) in ordine alla perfezione personale, che implica distinzione, caratterizzazione, movimento continuo di ascesa e di progresso;
c) in ordine all’organizzazione sociale, che esige varietà di funzioni e di organi che, come nell’organismo umano, operino per il bene del corpo intero e di ogni membro come ricorda San Paolo (Rom. 12,4 ss), forse facendo eco al famoso apologo di Menenio Agrippa.
Il problema da risolvere: le supplenze sociali
Il problema da risolvere per la società è di creare le condizioni nelle quali:
a) ogni uomo trovi più facilmente i mezzi di potenziamento delle sue capacità e il rispetto dei suoi diritti naturali;
b) siano valorizzate le doti specifiche, le vocazioni e i carismi di tutti, e si aiuti l’individuo, specialmente il giovane, a scoprire le proprie attitudini, ad esempio con l’adeguata organizzazione scolastica, centri di addestramento, esperimento e avviamento professionale ecc.;
c) vi sia parità di aiuti e possibilità ai punti di partenza, a parità di condizioni personali.
Specialmente quest’ultimo punto è il cardine dei tutta l’azione svolta in nome del principio dell’uguaglianza, e significa che la società deve supplire le carenze e gli scompensi dovuti a ragioni di famiglia, classi, censo o fortuna, per stimolare, incoraggiare e sostenere l’impegno di tutti, e selezionare i più adatti a svolgere le loro funzioni nei vari campi, costituendo e ricostituendo continuamente (per esempio mediante borse di studio, sovvenzioni alle iniziative utili, aiuti per la formazione delle famiglie e avviamento alla professione) una parità di condizioni giuridiche e morali che non può essere effetto di un meccanismo collettivista ma solo del massimo incremento di tutte le energie individuali, ordinate e subordinate nella società in funzione del bene comune.
L’ordinamento sociale che così ne risulta, pur sempre imperfetto e da adeguare alle condizioni della società che evolve, ha la garanzia di essere vitale.