Come negli anni ‘50-‘60 è necessaria una economia sociale che garantisca equità sociale e salari
I cittadini, le imprese, l’economia possono prosperare solo se c’è una crescita del lavoro manifatturiero unito a quello dei giovani talenti. Servono maestranze utili alle principali fasi di fabbricazione, lavorazione e allestimento dei beni. Così come sono necessarie le nuove competenze tecnologiche. Parliamo quindi di uno sviluppo che sia in grado di coinvolgere lavoratori da inserire in settori in affanno per una gravissima carenza di offerta. E, nel contempo, a dare spazio ai giovani che guardano al futuro.
I numeri della crisi
Per le imprese è l’anno nero della ricerca del personale. In valore assoluto, i lavoratori che scarseggiano di più sul mercato sono gli autisti di mezzi pesanti e camion (85.490 i pari al 56,7% delle richieste), poi ci sono gli operai edili (80.620 i lavoratori che non si trovano, pari al 46,2% del totale necessario); e, ancora, la carenza degli elettricisti nelle costruzioni civili (41.460 posti scoperti, equivalenti al 63,4% dei lavoratori da assumere). Scarseggiano anche gli idraulici: ne mancano 22.550, oltre il 70% di quelli necessari. Anche il 50,1% dei posti da acconciatori, oltre 21 mila posizioni, rimane vacante. Lo stesso discorso vale anche per i meccanici e per i riparatori di automobili: mancano 20.850 lavoratori, pari al 69,9% di quelli richiesti dalle imprese.
Popolazione che invecchia
Una crisi strutturale che ha molteplici i motivi, uno dei principali è l’invecchiamento della popolazione con un’ampia percentuale di lavoratori che si avvicina all’età pensionabile. Industria, artigianato, agricoltura , edilizia – per citare solo alcuni settori trainanti – si trovano inoltre ad affrontare la perdita di conoscenze ed esperienze accumulate.
Nuove competenze assenti
Oltre al lavoro manuale c’è la crisi delle competenze per affrontare la transizione digitale e la gestione dell’intelligenza artificiale. Nel 2023 le imprese cercavano 699mila lavoratori capaci di gestire tecnologie relative a intelligenza artificiale, big data analytics, internet of things e robot. Di questi, però, 381mila, pari al 54,5%, sono risultati di difficile reclutamento, di cui i due terzi (64,7%, pari a 246mila lavoratori) nelle micro e piccole imprese.
I costi per le imprese
Se il tempo è poi denaro, aggiungiamo che la ricerca di personale oscilla dagli oltre 3 mesi ad un anno. Tutto questo per le piccole imprese ha un costo quantificato da uno studio di Confartigianato in 13,2 miliardi di euro di minore valore aggiunto per le ricerche di manodopera che durano oltre 6 mesi.
Le due sfide
Se l’economia italiana ha capacità di stabilità e crescita, – come le agenzie di Rating confermano -, se i prodotti del Made in Italy sono presenti con successo nei mercati mondiali, non possiamo perdere le due sfide: abbiamo bisogno di manodopera e, nel contempo, dobbiamo incentivare giovani talenti per i settori tecnologici più innovativi.
Formazione, inclusione e salari
Siamo una Nazione che ha una età media elevata, con un sistema pensionistico difficile da sostenere se non ci saranno milioni di nuovi assunti in settori che prevedano operai e manodopera e tecnici specializzati. Come sostiene il leader della Confartigianato Marco Granelli, non c’e tempo da perdere: “è un’emergenza da affrontare subito, soprattutto con un’adeguata politica formativa. Si devono irrobustire le politiche del lavoro, armonizzandole con quelle dell’istruzione e con gli interventi contro la crisi demografica e la gestione dell’immigrazione”.
Una economia sociale
Servono operai e tecnici ma bisogna dare stabilità lavorativa e salari remunerativi ai giovani. Puntare su una economia sociale – come già avvenuto in Italia negli anni ‘50-‘60 – quando la crescita permetta di ridurre la povertà e la disuguaglianza. Possiamo ritornare a quel modello innovandolo con un obiettivo, puntiamo ad una economia al servizio delle persone. Avremo più lavoratori, imprese più attive, e una maggiore prosperità per tutti