domenica, 22 Dicembre, 2024
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“Tommaso Campanella l’incompreso ragazzo prodigio calabrese paga con 27 anni di carcere il vero dal falso”

Tommaso Campanella nasce a Stilo, attuale comune della città metropolitana di Reggio Calabria, il 5 settembre 1568; risulta però battezzato col nome Giovan Domenico Campanella, come dichiara al giudice Antonio Peri il 23 novembre del 1599 allorquando viene portato nel carcere di Castel Nuovo di Napoli, attuale Maschio Angioino, ove sconterà ben 27 anni di carcere.

Proprio a Stilo, sotto Filippo III succeduto al re di Spagna Filippo II, il filosofo Tommaso Campanella, capeggia in quell’anno la prima ribellione collegata alla restituzione del Demanio e della contea  alla stessa Stilo che Carlo V d’Asburgo nel 1540 aveva venduto insieme ad altre terre demaniali di molti paesi, per denaro necessario per difendere i territori italiani dalle invasioni turche.

Tommaso Campanella è un ragazzo molto vivace, desideroso di apprendere e con voglia di conoscenza che non l’abbandona per tutta la vita, mentre la famiglia,  povera e analfabeta – il padre ciabattino –  non può permettersi di mandare i figli a scuola per cui Giovan Domenico si accontenta di ascoltare dalla finestra le lezioni del maestro del paese.

A 14 anni il padre lo manda a Napoli perché studiasse diritto, ma il ragazzo pur di abbandonare il destino di miseria, più  che per una reale vocazione religiosa, decide di entrare nell’Ordine domenicano come novizio nel convento della vicina Placanica (RC); a 15 anni pronuncia i voti nel convegno di San Giorgio Morgeto, comune facente parte del Parco nazionale dell’Aspromonte,  assumendo da quel momento il nome Tommaso (in onore di San Tommaso d’Aquino).

Prosegue gli studi superiori a Nicastro (CZ) e, successivamente, a vent’anni, a Cosenza,  affronta lo studio di teologia in aggiunto alle già elevate qualità filosofiche e di poeta, rilevabili dalle sue numerose tracce storiografiche del pensiero politico, dalle sue opere e dalla altrettante vasta bibliografia.

L’istruzione ricevuta dai domenicani non lo soddisfa e non la ritiene sufficiente affermando che: “essendo inquieto, perché mi sembrava una verità non sincera, o piuttosto falsità in luogo della verità rimanere nel Peripato, esaminai tutti i commentatori d’Aristotele, i greci, i latini e gli arbi; e cominciai a dubitare ancor più dei loro dogmi, e perciò volli indagare se le cose ch’essi dicevano fossero nella natura, che io avevo imparato dalle dottrine dei sapienti essere il vero codice di Dio. E poiché i miei maestri non potevano rispondere alle mie obiezioni contro i loro insegnamenti, decisi di leggere da me tutti i libri di Platone, di Plinio, di Galeno, degli stoici, dei seguaci di Democrito e principalmente i Telesiani, e metterli a confronto con il primo codice del mondo per sapere, attraverso l’originale e autografo, quanto le copie contenessero di vero o di falso”.

Definisce l’opera più importante e più nota del suo conterraneo filosofo e scrittore Bernardino Telesio (Cosenza 1509/1588) “De rerum natura iuxta propria principia” (nella natura delle cose secondo i suoi propri principi) “”una rivelazione e una liberazione insieme: scopre che non esisteva soltanto la filosofia scolastica e che la natura poteva essere osservata per quello che è, e poteva e doveva essere indagata con i mezzi concreti posseduti dall’uomo, con i sensi e con la ragione, prima osservando e poi ragionando, senza schemi precostituiti e senza mandare a memoria quanto altri credevano di aver già scoperto e di conoscere su di essa””.

Il neofita frate, alla morte di Telesio, entusiasta non poté sottrarsi dal deporre sulla bara, nel duomo di Cosenza, versi latini di ringraziamento devoto.

I superiori di Campanella considerano intemperanze i suoi continui studi e ricerche, non prive di conseguenze ad iniziare da quando alcuni amici gli mostrano il libro del famoso  giurista e filosofo napoletano Giacomo Antonio Marta scritto contro l’amato Telesio; lui gli replica nel 1589 con la sua prima opera, la Philosophia sensibus demonstrata, pubblicata a Napoli nel 1591, a cui seguono “De sensi rerum” e  “De investigazione rerum”. Ma è proprio la pubblicazione dell’opera  Philosophia sensibus demonstrata che provoca scandalo nel convento di San Domenico e gli piovono i primi guai giudiziari.

Così iniziano le prime rappresaglie con il processo dall’Inquisizione romana per eresia nel 1594 e confinato agli arresti domiciliari per due anni. Nel 1599 è accusato di aver cospirato contro i governanti spagnoli della Calabria per cui viene torturato, messo in prigione ove vi permane, come già detto, per 27 anni.

Non smette, comunque, mai di scrivere; la sua opera più  significativa rimane “La città del Sole”, un racconto definito utopico in quanto descrive una società teocratica egualitaria in cui la proprietà  è tenuta in comune.

Il testo  dell’opera “De sensi rerum et magia”, nonostante sequestrato a Bologna dal Sant’Uffizio viene riscritto nel 1604 in italiano, tradotto in latino nel 1609 e nel 1620 viene pubblicato a Francoforte.

Il frate domenicano Tommaso Campanella, noto anche con lo pseudonimo di Settimontano Squilla, dopo la liberazione nel 1629 trascorre cinque anni come consigliere del Papa Urbano VIII, fino a quando nel 1633 sta per essere implicato in una congiura spagnola a Napoli per la quale viene arrestato tale fra Tommaso Pignatelli, suo ex discepolo che, nell’ottobre 1634 viene messo a morte.

A Campanelli non rimane che la via dell’esilio, a Parigi, sotto falso nome, per sfuggire alla doppia condanna da parte delle autorità spagnole e del Santo Uffizio con il rischio della stessa fine di fra Pignatelli.

Durante la sua permanenza a Parigi Tommaso Campanella recupera tranquillità e onore dopo anni di persecuzione, prigionia e torture, riprendendo l’attività pubblicistica che in Italia gli era stata vietata, subendo ben quattro processi, oltre alla detenzione.

Un breve periodo – muore il 21 maggio 1639 –  meno noto e studiato, ma non per questo meno importante.

 

 

 

 

 

 

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