lunedì, 23 Settembre, 2024
Cultura

Limonov: una ballata sul poeta punk piegato al conformismo fascista

Le proiezioni del Capalbio Film Festival

Proiettato al Capalbio Film Festival il biopic su Limonov, in concorso per la Palma d’oro a Cannes 2024. Un film caotico ma lineare, come il suo protagonista.

Quando Emmanuel Carrère pubblicò nel 2011 la sua biografia romanzata su Éduard “Eddie” Limonov, pseudonimo di Ėduard Veniaminovič Savenko, il successo in Francia e in tutta Europa è stato immediato. Limonov era già un autore riconosciuto, con ben 17 romanzi pubblicati a Parigi e tradotti in tutte le lingue più importanti. Ma è la sua figura ambigua e contraddittoria a interessare il grande pubblico, più che la sua poesia, ammesso che una differenza tra uomo, opere e azioni si possa fare in questo caso.

Già nel 2013 la casa di produzione italiana Wildside si era aggiudicata i diritti cinematografici del libro di Carrère, ma solo dopo diverse peripezie, tra cui l’interruzione dovuta allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, il cambio di tre registi, di attore protagonista e finanziamenti perduti, il film è uscito quest’anno con la regia di Kirill Serebrennikov, regista russo a sua volta ribelle, arrestato nel 2017 dal regime putiniano in un processo definito kafkiano dai media, e autorizzato a lasciare il paese solo nel 2022.

La vita, la trama

Le difficoltà di produzione che quasi hanno fatto annullare tutto il progetto, che invece è arrivato a essere candidato alla Palma D’oro del festival di Cannes, riflettono perfettamente la complessità del soggetto, legato a doppio filo a considerazioni di ordine direttamente politico, tra arte e potere. Un film che è allo stesso tempo una epopea punk, con una colonna sonora che spazia dai Velvet Underground, Lou Reed, Tom Waits ai Sex Pistols, e la storia individuale di un uomo problematico che rappresenta solo se stesso. Ėduard Limonov è un teppista nell’Ucraina sovietica del dopoguerra convinto di essere un grande poeta. Lascia il lavoro alla fabbrica di Kharkiv e la sua fidanzata, perché entrambi interferiscono con la sua carriera letteraria, e va a Mosca, dove conosce Elena, interpretata da una bellissima Viktoria Miroshnichenko. Ma presto si accorge come i limiti imposti dalla censura sovietica gli stiano stretti. I due emigrano a New York, dove lei comincia una carriera di modella, tra droga e sesso, e lui cerca di diventare un famoso scrittore in Occidente.Ma perde tutto, anche la moglie, in poco tempo. Passa da barbone che sopravvive col sussidio governativo a maggiordomo in casa di milionari. Raggiunge la fama solo anni dopo, in Francia, dove pubblica libri crudi, con una scrittura che senza concessioni al lettoreparla delle sue vicissitudini e appetiti sessuali. Quando parte in Jugoslavia per combattere a fianco di criminali di guerra serbi, viene escluso dai salotti letterari parigini e occidentali. Rientrato nella Russia post-sovietica fonda un partito “nazional-bolscevico”, la cui bandiera è una curiosa crasi tra svastica e falce e martello, e diventa inaspettatamente uno dei riferimenti dell’opposizione a Putin. Finisce in Siberia, e dopo qualche anno di prigionia ne esce come un mito, politco in Patria e letterario in Occidente. Limonov passa così, tra narcisismo grandioso e umiliante bisogno di affetto, da dissidente sovietico e aspro critico del capitalismo a leader neofascista completamente inserito nei meccanismi conformisti della società. Un punk che fa il maggiordomo, un ribelle che si scopre nazionalista, un grande poeta che è un uomo solo e in fondo meschino.

Il film

Il film è girato con grande maestria tecnica, a partire dalla fotografia, che restituisce i colori accesi eppure soffocanti di una Mosca anno 70 e il grigio umido e disordinato della New York anni 80, per arrivare ai movimenti di macchina.Cinematograficamente riuscitissima una sequenza in cui la cinepresa, seguendo il protagonista che barcolla di stanza in stanza,, attraversa anni di storia mondiale con la fluidità di un long take con sottofondo Pretty Vacant dei Sex Pistols.Basterebbe questa scena a esemplificare il ritmo saltellante del film, una vera e propria Ballad, come dice il sottotitolo. Un bravissimo Ben Wishaw incarna perfettamente la fisicità magrolina e spavalda di Limonov, e dà profondità con la sua performance alla regia caotica eppure controllata, tra colpi di scena imprevisti e un po’ gratuiti – in perfetta sintonia, cioè, con la scrittura di Limonov. Per esempio, quando verso la metà del film il protagonista muore. Cammina per strada, a New York, insieme a un amico, quando all’improvviso una camionetta accosta, scendono dei commando che lo crivellano, e lui, vestito di bianco, giace morto in mezzo alla strada. Questo il momento di rottura, lo spacco che porta il Limonov dissidente e convinto di essere il poeta e il volto della sua generazione, a piegarsi al conformismo del mercato letterario. Il successo arriverà molto dopo, ma è qui che, di scatto eppure in perfetta continuità con il carattere ambiguo di Limonov, si scopre scrittore fallito.

Un ritratto impietoso

Il ritratto che ne risulta, certo romanzato ma non per questo inadatto a dare una sensazione precisa di chi fosse Limonov, suona come un avvertimento. Oscillando continuamente tra bisogno di amore, che sia dalla moglie o dalla società, e profondissimo senso di inadattamento, Limonov è allo stesso tempo un banale perdente e un estremista poetico e politico. L’ultima scena, lugubre e amara, vede l’uscita di un Limonov ormai vecchio dalle prigioni siberiane, accolto da una folla festante e una sfilza di giornalisti con telecamere e microfoni. Dopo essere accolto con applausi e champagne, una giornalista gli chiede: “possiamo rifarla?” e lui, il dissidente che infastidiva sia i russi che gli americani, ripete la scena, ormai piegato al conformismo dello spettacolo e del giornalismo. Ha ottenuto il suo successo, diventando una figura controversa sia politicamente che letterariamente, e adattandosi mantenendo la sua follia. Le vere immagini della sua liberazione dal carcere si affiancano ai titoli di coda. Film consigliatissimo, anche a chi non conosca lo scrittore russo, che indaga con coraggio non solo un’epoca storicaprecisa, ma anche un conflitto ideologico di ieri e di oggi – abbondano i riferimenti al conflitto odierno tra Russia e Occidente – e persino una situazione freudiana, in cui ognuno può riconoscersi con fastidio, di negoziazione tra individuo e società, Totem e Tabù.

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