Sono passati decenni dall’ultima amnistia. Per i reati minori e solo per quelli servono percorsi rieducativi. L’impegno di sacerdoti e volontari per una nuova umanità
“Aprirò una Porta santa in carcere”. Sono le parole cariche di speranza annunciate da Papa Francesco. Un prezioso intento che diffonde una luce di misericordia in un contesto che si fa giorno dopo giorno più drammatico: nelle carceri italiane i suicidi sono una emergenza intollerabile, il sovraffollamento è una condizione disumana, così come le difficoltà di tutto il personale che è esposto a mille problemi e rischi. Ciò che serve sono pene giuste, severe ma in un contesto profondamente diverso civile e umano da quello che oggi viviamo in Italia.
Il Papa: la speranza non delude
Vogliamo in questa riflessione sugli istituti penitenziari, sui carcerati affrontare un tema non facile, aprendo alla possibilità che si arrivi ad un indulto, ad una amnistia – per reati minori – ricordando l’annuncio di Papa Francesco sul Giubileo dell’Anno Santo 2025, che ha come titolo “Spes non confundit”, “la speranza non delude”. “Aprirò una Porta santa in carcere. Vogliamo dare speranza, andando oltre alla durezza della reclusione, al vuoto affettivo, alle restrizioni imposte e, in non pochi casi, alla mancanza di rispetto”.
L’emergenza nei numeri
Partiamo dei dati che rispecchiano una situazione che ha superato da tempo il livello di guardia. I numeri del sovraffollamento parlano di per sé, i detenuti presenti nelle strutture sono 61.468, dovrebbero essere invece 47.067, in base ai posti disponibili negli istituti penitenziari. Da puntualizzare un aspetto – spesso causa di dibattito politico – i detenuti stranieri nelle carceri italiane per adulti sono 19.108, pari al 31,3% del totale, quindici anni fa questa quota superava il 37%. C’è poi il dato più sconvolgente quello dei suicidi.
I detenuti che dall’inizio dell’anno e, fino al 6 agosto 2024, si sono suicidati in carcere sono 62. Di altre 15 morti la causa è ancora da accertare. C’è anche il carcere ingiusto Questo il difficile contesto del sistema penitenziario a cui però bisogna aggiungere una considerazione critica, sul piano giuridico. Una parte considerevole, circa un terzo dei detenuti in Italia è statisticamente da considerare non colpevole. “Lo dicono i processi successivi o coevi alle spesso lunghe, inutili, dannose detenzioni preventive”, ricorda il giornalista ed editorialista, Giuliano Ferrara, con una sottolineatura: parliamo spesso di poveri cristi, di persone che fanno una vita non integrata, “che sono dentro per imputazioni a volte risibili, che non godono di protezione legale adeguata”, aggiunge Ferrara, “e che quasi nessun occhio politico istituzionale o sociologico inquadra mai a sufficienza tra i fattori di sofferenza umana e sociale più pesanti”.
Agenti e lavoratori alle corde
Sull’altra sponda a subirne i pesanti effetti negativi sono i lavoratori del sistema carcerario. In una nota del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe) c’è tutta l’amarezza per una condizione di lavoro insostenibile.
“È importante per il Paese conoscere il lavoro svolto dai poliziotti penitenziari”, fa presente Donato Capece, segretario del Sappe, “è importante che la Società riconosca e sostenga l’attività risocializzante della Polizia Penitenziaria e ne comprenda i sacrifici sostenuti per svolgere tale attività, garantendo al contempo la sicurezza all’interno e all’esterno degli Istituti. Il nostro Corpo è costituito da persone che nonostante l’insostenibile, pericoloso e stressante sovraffollamento credono nel proprio lavoro, che hanno valori radicati e un forte senso d’identità e d’orgoglio. Persone che lavorano ogni giorno, nel silenzio e tra mille difficoltà ma con professionalità, umanità, competenza e passione nel dramma delle sezioni detentive italiane”. La sfida di una riforma Ci sono soluzioni? Questo è il punto altrettanto delicato, ma che non può essere rinviato. Si è parlato, grazie all’impegno di molti parlamentari, della tenacia degli esponenti del Partito Radicale, del ministro di Grazia e Giustizia Carlo Nordio, di come ridurre il sovraffollamento, di come concedere a una parte dei detenuti, quelli che devono scontare condanne minori, possibilità alternative in particolare per i giovani, con l’inclusione in strutture di accoglienza e di recupero sociale. La riforma del sistema carcerario è una sfida difficile, controversa, un tema dibattuto da molti governi con risultati scarsi e sostanzialmente di rinvii. Oggi servono scelte concrete.
Indulto e amnistia
È un tema che va affrontato con grande serietà. La concessione dell’indulto (l’ultimo risale al 2006) riguardava reati non superiori a tre anni per le pene detentive e non superiori a 10 mila euro per quelle pecuniarie. Ancora più lontana nel tempo l’ultima amnistia che risale al 1990 (nello stesso anno è stato concesso anche un indulto). Come è noto c’è differenza tra l’amnistia che estingue il reato, mentre l’indulto è una causa di estinzione della pena. Con l’amnistia lo Stato rinuncia all’applicazione della pena, mentre con l’indulto si limita a condonare, in tutto o in parte, la pena inflitta, senza però cancellare il reato. Sono precisazioni di merito che vanno fatte, così come i due provvedimenti non possono includere reati gravi, quelli contro la persona, di terrorismo, quelli di mafia, di violenza, rapina, estorsioni. Ma ci sono numerosi altri reati minori che possono essere scontati in strutture di accoglienza o amnistiati.
L’impegno di sacerdoti e volontari
Oggi 15 settembre, è la Giornata Nazionale di sensibilizzazione per il sostentamento del clero. Come ricorda la Conferenza episcopale italiana, “I sacerdoti offrono il loro tempo, sostengono le persone sole, accolgono i nuovi poveri, progettano reti solidali offrendo riposte concrete. Si affidano alla generosità delle comunità per essere liberi di servire tutti e svolgere il proprio ministero a tempo pieno”. Molti sacerdoti e volontari sono impegnati in comunità di percorso educativo dedicati ai detenuti. Si tratta di un impegno notevole, un percorso che potrebbe funzionare molto meglio se ci sarà anche una possibilità di riduzione della pena o di perdono. Scontare la condanna vivendo in queste comunità è l’occasione di nuovi incontri, di intraprendere relazioni positive, dove l’umanità può rinascere e, se c’è la volontà e la grazia, riprendere nuove vie.