La convention del partito Democratico americano che si è tenuta in questi giorni a Chicago ha una parola chiave: gioia. La Vicepresidente e candidata Dem Kamala Harris, e il suo Vice Tim Walz, ripetono continuamente questo slogan divenuto nuovo grido di battaglia. Lo si può ascoltare nel discorso di Obama, “la gioia e l’entusiasmo di questa campagna”, nei discorsi del candidato vicepresidente Walz, e negli innumerevoli spot pubblicitari e video postati sui social in questi giorni.
Da quando il Presidente Biden si è ritirato – sotto forte pressione dei vertici del partito – la strategia comunicativa è cambiata totalmente. Scrollata di dosso l’incombente e spesso imbarazzante questione dell’anzianità di Joe Biden, i Dem si sentono finalmente in grado di competere ad armi pari per sfidare Trump. È vero che Harris non ha mai goduto di grande popolarità prima dell’investitura ufficiale, ed è altrettanto vero che fino a due mesi fa i sondaggi davano Trump in netto vantaggio. Eppure, il nuovo approccio sembra avere successo. Non è più una campagna cupa, dall’amaro sapore esistenziale. Non è più la campagna di Joe Biden che ripete allo sfinimento, spesso a fatica, l’idea che Trump è la minaccia peggiore per la democrazia americana e che solo lui può fermarlo.
Adesso è la campagna dell’entusiasmo e della gioia ritrovata. Tim Walz è parte integrante di questa nuova strategia. Governatore del Minnesota, ex allenatore di football e insegnante di storia al liceo, Walz incarna l’America dei piccoli centri, dei sindacati, del patriottismo e del duro lavoro. Quel pezzo di America spesso dimenticata ma che continua ad essere il perno per la vittoria delle elezioni.
Walz apostrofa Trump e i suoi seguaci come ‘strambi’; coloro che vogliono negare il diritto all’aborto, che sono chiusi nel passato, e che non fanno altro che pensare alle vendette personali. Il tentativo è evidente: ricostruire la coalizione di elettori che portò al successo di Obama. Una coalizione molto ampia, che comprende le minoranze, i progressisti più radicali delle grandi città, ma anche e soprattutto il Midwest del ceto medio che spianò la strada per Trump a la Casa Bianca nel 2016.
È un’alchimia difficile da ricomporre. Soprattutto perché negli ultimi anni il partito si è chiuso in sé stesso a dibattere la questione palestinese, i diritti LGBT, e le mille sfaccettature ideologiche dell’avanguardismo woke. Tutte conversazioni distanti anni luce dalla realtà degli elettori chiave in stati rurali come il Wisconsin e la Pennsylvania.
Ed è così che i Democratici hanno smesso di battere la ritirata, di giocare in difesa puntando il dito al pericolo Trump, e hanno deciso di passare all’attacco. La convention di Chicago è stato un tripudio di entusiasmo. Bill Clinton, Michelle e Barack Obama, tutti i grandi del partito sono saliti sul palco carichi e ottimisti. A farla da padrone sono state le battute, gli scherni al mondo Trump, e, finalmente, il rivendicare le conquiste di questi anni dell’amministrazione Biden-Harris.
Forse, dopotutto, bastava poco per riaccendere l’entusiasmo e rimettere in carreggiata una campagna che guardasse al futuro e non al passato. Chissà se qualche veterano consulente politico Dem nei mesi scorsi non l’abbia pensata proprio così, come un inno alla gioia. Per ora sembra funzionare.
E dal palco di Chicago, Obama ha acceso la folla al grido di “Yes she can”.