Nel panorama attuale, il settore della moda e del tessile italiano si trova a fare i conti con una serie di sfide senza precedenti. Tra le pressioni derivanti dalla rivoluzione green, la digitalizzazione sempre più pervasiva e un sistema di regole e controlli che sembra soffocare più che supportare, le imprese del Paese si trovano a navigare in acque estremamente agitate. Questo quadro complesso è stato sottolineato da Unimpresa, che ha lanciato un monito sul pericolo che queste dinamiche rappresentano per il Made in Italy. Secondo un documento rilasciato dall’associazione, la transizione ecologica, che dovrebbe essere uno strumento per la sostenibilità e l’innovazione, si sta trasformando in un’arma nelle mani delle multinazionali. Per le microproduzioni, cuore pulsante del tessuto produttivo italiano, i costi legati all’adeguamento alle nuove normative si sono rivelati insostenibili. Il rischio è che il sistema stia favorendo, seppur indirettamente, i colossi stranieri – in particolare quelli provenienti da paesi come Cina, India, Indonesia e Vietnam – che riescono a sfruttare questi nuovi obblighi per replicare su larga scala le innovazioni italiane, senza però condividere gli stessi valori di equità sociale e giusta remunerazione del lavoro. Unimpresa, durante il quinto incontro al Ministero delle Imprese e del Made in Italy, ha sollevato queste preoccupazioni, evidenziando come molte aziende stiano ancora lottando per ripagare i prestiti ricevuti nel periodo post-pandemico. La crisi di liquidità ha messo a dura prova l’intera catena produttiva, minando decenni di relazioni imprenditoriali costruite con fatica. In questo contesto, i numerosi distretti tessili italiani sono stati costretti a fare ricorso alla cassa integrazione, con gravi ripercussioni sull’occupazione e sulla stabilità del settore.
Il disappunto
La Presidente di Unimpresa Moda, Margherita de Cles, ha espresso con forza il suo disappunto, evidenziando come il settore creativo e artigianale italiano sia sempre più schiacciato da una burocrazia asfissiante e da regolamenti che, anziché promuovere, ostacolano l’innovazione e la produttività. “Cosa è rimasto, in Italia, dopo i raid dei miliardari francesi? Gli esecutori e un esercito di commercianti conto terzi prestati alla finanziarizzazione. A Milano i creativi non arrivano più soprattutto quelli giovani, in Puglia lavorano per i miliardari della moda francesi come Arnaud”, ha dichiarato de Cles. La Presidente ha inoltre sottolineato come sia necessario un cambio di rotta radicale, che passi per la semplificazione normativa e burocratica. Un intervento del governo che possa alleggerire il carico di adempimenti e liberare le forze creative italiane è ormai imprescindibile. In tal modo, il Ministero delle Imprese potrebbe finalmente concentrarsi sulla promozione e valorizzazione delle eccellenze del Made in Italy, garantendo a queste realtà di crescere e prosperare in un mercato sempre più globalizzato.