L’idea di coinvolgere i dipendenti nelle scelte, nelle responsabilità e, infine, nella ripartizione degli utili dell’impresa, negli anni della crisi del sindacato e della politica, attualmente può e deve vivere la sua stagione di decollo. Quella idea di patto solidale tra chi crea e chi alimenta il lavoro può essere una svolta verso la modernità, nella quale solo l’unione può creare sviluppo con la mediazione non conflittuale dei corpi sociali intermedi. Solo la “partecipazione” infatti può respingere i ricatti della globalizzazione e la violazione dei diritti e delle professionalità individuali.
La Dottrina sociale della Chiesa ha in sé molte delle risposte che l’economia chiede alla politica, alla comunità, alle stesse famiglie e si sviluppa, nel segno della coerenza con un percorso di vita e di fede del mondo cattolico, che sul piano politico oggi è orfano da qualche decennio di una rappresentanza non irrilevante e si muove a tentoni, tende a disgregarsi e spesso dimentica gli insegnamenti dei Pontefici, che nelle encicliche, da Leone XIII in poi, hanno messo al centro l’uomo, ma anche il lavoro e il profitto eticamente sostenibile: categorie che possono convivere nell’idea di una società pluralistica, solidale ma anche produttiva, meritocratica, egalitaria nelle condizioni di partenza, ma non asfissiante nelle ambizioni individuali, libera ma anche fraterna. Quel pensiero “partecipativo” che la Dottrina sociale della Chiesa ha declinato dalla enunciazione di principio per farne progetto, idea, piattaforma “politica” che risulta oggi essere di straordinaria attualità.
Del resto già Papa Giovanni Paolo II nella sua enciclica “Centesimus annus” aveva messo in evidenza che, per la prima volta, dopo oltre un secolo, si era registrata la saldatura tra mondo del lavoro e Vangelo. Gli avvenimento dell’89, anche se si erano svolti solo nei paesi dell’Europa orientale e centrale, “tuttavia, ebbero un’importanza universale, poiché ne discesero conseguenze positive e negative che hanno interessato tutta la famiglia umana: nella crisi del marxismo riemergono le forme spontanee della coscienza operaia, che esprimono una domanda di giustizia e di riconoscimento della dignità del lavoro, conforme alla dottrina sociale della Chiesa”.
Ora questa saldatura va riproposta ed estesa a tutti i corpi sociali, partendo proprio dal mondo del lavoro essendo la sua cultura e la ragione della sua vita.
In uno stato laico la Chiesa non può intervenire direttamente nell’elaborazione delle leggi. È ai laici che spetta la missione di testimoniare nella vita di tutti i giorni la qualità e la verità del messaggio del Vangelo. Occorre perciò il coraggio e la speranza per aprire un nuovo ciclo culturale, economico e sociale.
Ecco perché, quando persino i vertici di associazioni laicali di carattere ecclesiale, che dicono di ispirarsi, di uniformarsi e di annunciare nella loro vita e, sopratutto, nell’economia e nella finanza, i valori della Dottrina sociale della Chiesa, tradiscono questo grande patrimonio di pensiero e di saggezza o perché non lo conoscono affatto o perché in mala fede per meschini interessi personali o aziendali, allora c’è veramente da preoccuparsi. Si tratta di applicare gli articoli 46 e 47 della nostra Costituzione sul tema della partecipazione senza surrogati che superano sia la “concertazione” che il paternalismo.