domenica, 17 Novembre, 2024
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Difesa planetaria: l’Inaif fa “parlare i sassi”

Testata la possibilità di deviare un asteroide che minaccia il nostro pianeta

Dopo l’impatto della sonda della NASA DART il 26 settembre 2022 contro Dimorphos, la luna del sistema binario di asteroidi Near-Earth (65803) Didymos, gli occhi degli esperti si sono concentrati sugli effetti dell’esperimento di difesa planetaria. L’obiettivo era testare la possibilità di deviare un corpo vagante come un asteroide nel caso in cui costituisca una minaccia per il nostro pianeta. Eventualità, questa, che dipende anche dalle caratteristiche geologiche del corpo, dalla sua dinamica, e più in generale dalla sua storia. Nature Communications ha appena pubblicato un’edizione speciale a tema “Difesa planetaria, detriti spaziali e asteroidi Near-Earth” contenente, fra gli altri, cinque articoli che analizzano le caratteristiche e la storia geologica dei due asteroidi Near-Earth di tipo S osservati dalla missione DART-LICIACube, Didymos e Dimorphos. Coautori di tutti, e primi autori di due, Alice Luchetti e Maurizio Pajola dell’INAF di Padova.

Quanti “massi”

ci sono Osservare da vicino la superficie di un asteroide e analizzarne la geologia può dire molto sulla sua storia di formazione. Utilizzando le immagini ad alta risoluzione di Didymos e Dimorphos riprese dalla missione della NASA DART pochi istanti prima dello schianto su Dimorphos, Pajola e il suo team hanno identificato tutti i massi visibili sulla superficie dell’asteroide primario Didymos (per un totale di 169) e dell’asteroide secondario Dimorphos (per un totale di 4734), ricavandone le dimensioni. Hanno poi studiato la distribuzione in taglia di questi massi (in gergo scientifico chiamata SFD, dall’inglese Size-Frequency Distribution) contando quanti massi più grandi di una data dimensione ci sono, in vari intervalli di “taglia”, e collegato questa stima con la distribuzione delle taglie in latitudine, longitudine, pendenza superficiale, accelerazione gravitazionale e insolazione.

Impatto catastrofico

“Lo studio della distribuzione in taglia dei massi più grandi di 5 metri su Dimorphos, e di quelli più grandi di 22,8 metri su Didymos, ci ha permesso di dire che questi si sono formati a seguito di un singolo evento di frammentazione – un impatto catastrofico – di un asteroide padre”, spiega Maurizio Pajola, ricercatore all’INAF di Padova e primo autore dello studio. I due corpi sarebbero, secondo i risultati, aggregati di frammenti rocciosi formatisi a seguito della distruzione catastrofica di un unico genitore comune. Scoperta, questa, confermata anche dalle simulazioni di impatti iperveloci svolte in laboratorio, nonché dall’identificazione dei massi più grandi presenti sui due corpi: 16 metri quello su Dimorphos, e 93 metri quello su Didymos, valori che equivalgono a circa un decimo della dimensione dell’asteroide su cui si trovano. Massi così grandi, infatti, non potrebbero essersi formati a seguito di impatti sulle superfici dei due corpi, che sarebbero rimasti disintegrati nello scontro.

Come si muovono

Due asteroidi, un genitore comune, dunque. Non solo: la distribuzione in taglia dei massi sui due corpi si è rivelata molto simile, cosa che fa pensare che Dimorphos, il più piccolo dei due, in orbita attorno a Didymos, abbia ereditato i propri massi dal compagno. Come? Attraverso il cosiddetto effetto YORP. In pratica, mentre un asteroide ruota su sé stesso, la sua superficie viene illuminata dal Sole in maniera disomogenea, dal momento che la sua geologia è complessa e irregolare. Il risultato è che diverse regioni vengono riscaldate e si raffreddano a velocità differenti, creando una differenza di temperatura che a sua volta può far accelerare o rallentare la rotazione.

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Antonio Marvasi

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