Non solo le banche, ma anche le aziende dell’energia non hanno extra profitti. L’Unem (Unione energie per la mobilità) accoglie positivamente la sentenza della Corte Costituzionale che ha ritenuto costituzionalmente illegittima l’inclusione delle accise versate allo Stato ai fini del calcolo della base imponibile per la tassazione dei cosiddetti extra profitti introdotta dal Governo Draghi nel 2022. L’inclusione dell’accisa è stata contestata da subito da Unem che è anche intervenuta con una memoria tecnica (Amicus Curiae) presentata lo scorso novembre a sostegno dei ricorsi presentati dalle Aziende Associate. La sentenza fissa un principio in virtù del quale le emergenze finanziarie dello Stato non possono giustificare tutto, perché “il necessario bilanciamento di interessi fra le esigenze finanziarie della collettività e tutela delle ragioni del contribuente non può sistematicamente risolversi a favore delle prime”.
Unem: restituita la fiducia
Unem, analogamente alle ragioni evidenziate dalla Corte Costituzionale, rilevava come la tassa fosse materialmente illegittima e irragionevole poiché le accise sono commisurate alla quantità di prodotto venduto e non all’incremento di prezzo e, pertanto, non determinano in alcun modo un profitto per le aziende. “La sentenza della Corte – si legge in una nota dell’Unione – restituisce fiducia al settore con l’auspicio che la tassazione illegittimamente applicata possa essere restituita alle aziende.” Nel periodo di riferimento del contributo (ottobre 2020-aprile 2021 e ottobre 2021-aprile 2022) i volumi dei prodotti venduti evidenziarono un aumento di circa il 17% a seguito del termine del periodo pandemico, con un maggiore gettito accise stimato in oltre 2 miliardi di euro.
Questioni di “equilibrio”
Il contenzioso riguardava la tassa straordinaria sui cosiddetti “extraprofitti” delle società dell’energia arrivati con l’impennata dei costi delle materie prime dopo l’invasione russa dell’Ucraina. È stata così dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 3, del decreto-legge 21 marzo 2022, n. 21 (convertito dalla legge 20 maggio 51/2022 e più volte modificato) nella parte in cui prevede che “ai fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA”, anziché “ai fini del calcolo del saldo di cui al comma 2, si assume il totale delle operazioni attive, al netto dell’IVA e delle accise versate allo Stato e indicate nelle fatture attive”. Il problema nasce dal fatto che i profitti delle aziende sono normalmente misurati dalla base imponibile dell’Ires, l’imposta sulle società che si calcola però sui bilanci e arriva quindi solo l’anno successivo rispetto a quello in cui gli utili sono stati realizzati.
I ricorsi sono stati presentati anche da Engycalor Energia Calore; Kuwait Petroleum Italia; Eni spa; Eni Global Energy Markets; Esso Italiana contro il silenzio-rifiuto dell’Agenzia delle entrate sulle richieste di rimborso degli importi corrisposti da ciascuna società “a titolo di contributo straordinario contro il caro bollette a carico delle imprese operanti nel settore energetico”. Tornando alla decisione, la Consulta afferma che anche “nella materia tributaria e persino quando, in momenti particolari, siano implicate straordinarie e preminenti esigenze della collettività”, la Corte “è chiamata comunque ad assicurare, nella valutazione del bilanciamento operato dal legislatore, quanto meno il rispetto di una soglia essenziale di non manifesta irragionevolezza, oltre la quale lo stesso dovere tributario finirebbe per smarrire la propria giustificazione in termini di solidarietà, risolvendosi invece nella prospettiva della mera soggezione al potere statale”.