Gruppo internazionale di ricerca guidato da Padova individua il ruolo del fegato nelle microtrombosi letali a seguito dell’infezione del pericita che scatena la trombosi e peggiora l’insufficienza respiratoria.
Lo studio
Uno studio pubblicato il 20 giugno nel «Journal of Hepatology» (J Hepatol. 2024 Jun 20), la rivista ufficiale della European Association for the Study of the Liver, ha fatto luce sui meccanismi della microtrombosi e sulla rilevanza della patologia epatica nelle forme letali di COVID-19. In altri termini: il covid colpisce anche il fegato e altri organi.
Sebbene infatti la causa principale della mortalità da COVID-19 fosse stata attribuita all’insufficienza respiratoria (ARDS), sin dalla prima epidemia erano state segnalate microtrombosi(trombosi dei piccoli vasi) associate a più organi oltre al polmone, come cuore e rene, e seppure il coinvolgimento del fegato fosse spesso presente nei pazienti affetti da COVID-19, il significato di queste alterazioni rimaneva incerto.
Lo studio, coordinato dall’Università di Padova, condotto da un team interdisciplinare di ricercatori delle Università di Yale (USA) e Birmingham (UK), e le Aziende Ospedaliero-Universitarie di Padova, Papa Giovanni XXIII (Bergamo), ASST Bergamo Est Seriate, e Fatebenefratelli Sacco (Milano), supportato dal progetto Ricerca Finalizzata del Ministero della Salute italiano e dal progetto European Virus Archive goes Global (EVAg) con un finanziamento dal programma Horizon 2020 dell’Unione Europeaha rivelato invece “come la trombosi dei piccoli vasi fosse una delle lesioni più significative nelle forme letali di COVID-19»spiega il dott. Aurelio Sonzogni, responsabile del reparto di Patologia dell’ASST Bergamo Est Seriate.
Il ruolo del fegato
Proprio durante la prima ondata pandemica dell’infezione a Bergamo, “nonostante la carenza di personale dovuta alle infezioni del personale sanitario e agli estenuanti turni di lavoro”, il dott. Sonzogni e la sua squadra hanno lavorato allo studiodecidendo di “eseguire l’autopsia dei pazienti deceduti da COVID-19, come approccio per ottenere maggiori informazioni sul tipo di danno indotto dall’infezione da SARS-CoV-2 nei diversi organi. Questo è stato un passo fondamentale”.
Sono così state osservate dilatazioni del letto arterioso intrapolmonare nei pazienti con microtormbosi della vena porta. Queste dilatazioni “peggioravano l’ossigenazione del paziente e aggravavano l’insufficienza respiratoria, responsabile di una morte più tardiva” ha spiegato il prof Luca Fabris, docente del Dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e del Liver Center dell’Università di Yale, nonché corresponding author del lavoro.
In parole povere, lo studio ha dimostrato che a livello cellulare si verifica una risposta pro-coagulante provocata dall’infezione di Covid che colpisce la cellula vascolare pericita nel fegato. Questareagisce all’infezione attivando la secrezione di mediatori della coagulazione, la quale riveste l’endotelio, uno strato di cellule a diretto contatto con il flusso sanguigno. La conseguenza è da un lato l’ipercoagulabilità locale con conseguente trombosi, e dall’altro della dilatazione delle piccole arterie polmonari che porta a una insufficiente ossigenazione nel sangue arterioso.
«Va aggiunto che l’infezione dei periciti epatici da parte del SARS-CoV-2, pur non essendo produttiva, cioè non rilasciando particelle virali infettanti – ha affermato la prof.ssa Cristina Parolin, del dipartimento di Medicina Molecolare dell’Università di Padova – ha stimolato una serie di funzioni secretorie da parte dei perciti che sono risultate rilevanti per le alterazioni emodinamiche della circolazione epato-polmonare».
«Questo lavoro rappresenta una storia affascinante per quanto concerne il ruolo del fegato nelle malattie acute e nelle condizioni di insufficienza multiorgano. Siamo certi che la rilevanza di questo meccanismo fisiopatologico vada ben oltre il COVID-19, 3 argomento che stiamo affrontando grazie ad un finanziamento ottenuto dal Ministero della Salute» ha concluso Paolo Simionidirettore del dipartimento di Medicina dell’Università di Padova e della Clinica Medica 1^ dell’Azienda Ospedale/Università di Padova, co-autore senior dello studio.