lunedì, 1 Luglio, 2024
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Il fine dimenticato (equivoci sulla legge 194/1978)

La discussa tematica dell’interruzione volontaria della gravidanza richiama varie interpretazioni della legge 194 del 1978 alcune delle quali evidenziano il cosiddetto ‘diritto all’aborto’ considerato in apparenza prevalente sulla tutela del concepito e della madre primi soggetti da difendere in quanto a salute e protezione della vita.
Non solamente alcune forze politiche ma anche intellettuali di turno, docenti e scienziati con pregiudizi ideologici, comunicatori poco informati e propensi a studiarsi la materia ma pronti a dare i propri avventati giudizi sentenziano come incombente il pregiudizio del ‘diritto all’aborto’ quasi fosse questo il faro guida che illumina tutte le altre libertà.
Non va dimenticato che secondo la scienza giuridica e la giurisprudenza non ogni pretesa, desiderio, interesse può essere ‘trasformato’ in un diritto e tantomeno non è possibile legittimare un presunto diritto all’aborto per la soppressione di una vita umana.
Nella legge 194 emerge il diritto alle cure e all’assistenza sanitaria quando si rileva la incombenza e la necessità dell’interruzione della gravidanza seppur volontaria.
Fra le varie libertà poi ribattezzate ‘autodeterminazione della donna’ non viene indicato l’autentico valore della reale capacità di scelta umana ma un contraddittorio diritto che costringe la stessa donna in sentieri di schiavitù fisica e mentale. Donne-automi in balia di scelte senza ritorno che magari non avrebbero compiuto se realmente libere: libere dalla schiavitù dell’aborto. Il dibattito nella pubblica opinione pertanto risulta fuorviato e inquinato da teorie antinomiche, stravaganze giuridiche ed equivoci che purtroppo rendono vittime di disinformazione soprattutto giovani e studenti universitari vulnerati da arcaici slogan e da una bassa retorica.
Va ricordato a chi si dimentica la natura della legge 194 del 1978 nata diciamolo pure ‘zoppa’ ma come male minore di fronte a situazioni incontrollate e di rischio che il titolo della medesima indica come primo impegno dello Stato la ‘Tutela sociale della maternità’ prevedendo come ipotesi limite la possibilità di interrompere volontariamente una gravidanza. Si conferma così la tutela dell’embrione che già in diverse leggi ordinarie e sentenze della Corte Costituzionale è protetto come soggetto da difendere proprio perché più debole.
Il chiaro art.1 della norma in questione “garantisce il diritto alla procreazione cosciente e responsabile e tutela la vita umana fin dal suo inizio” riconoscendo proprio quel valore sociale della maternità che prevale su ogni ius compreso quello all’interruzione volontaria della gravidanza. L’interpretazione di tale articolo pertanto conferma la difesa piena del concepito come parte più fragile della relazione madre/figlio. La
gravidanza recita inoltre la legge, non è (e non deve essere) mezzo di controllo delle nascite anzi gli Enti pubblici come lo Stato le Regioni e gli enti locali “promuovono i servizi socio-sanitari e le altre iniziative affinché si eviti l’aborto come finalità per la limitazione delle stesse nascite”.
Ma veniamo al tanto discusso art.2 della norma che prevede l’attività dei consultori. Queste strutture assistono la donna in stato di gravidanza, è un loro dovere professionale sanitario ed etico imprescindibile a suprema tutela della salute sia della gestante che del bambino. Quindi hanno compiti ben precisi che valorizzano la salute di madre e figlio proteggendoli da pericoli e rischi di ogni natura in special modo informando la prima sui diritti a lei spettanti. La protezione dovrebbe essere massima sui servizi sanitari e sociali ma anche sotto il profilo economico e del lavoro della futura mamma indicandone l’attuazione “tramite altri enti di servizio quando la gravidanza evidenzi problemi che gli stessi consultori non riescono a risolvere”.
Conosciamo le difficoltà in cui si dibattono queste strutture tra carenze di personale qualificato, ritardi di assistenza, problematiche in merito alla protezione non solo sanitaria ma anche a quella psicologica ed economica della donna in gravidanza. E’ uno specchio della società spesso carente di prossimità e tensione ‘affettiva’ verso persone in condizione di indigenza magari non solo economica quanto anche in stato di
disorientamento etico e familiare. Uno dei compiti fondamentali dei consultori è comunque come recita il punto d) dell’art.2 ‘far superare le cause che potrebbero indurre la donna ad interrompere la gravidanza’.
La perifrasi è talmente chiara che costruirci sopra interpretazioni di comodo ideologiche o pseudogiuridiche o peggio ignorarla esprime l’intenzionale ipocrisia o la capziosità nell’individuare il reale scopo della legge 194.
Le polemiche e gli ostracismi intorno alla partecipazione di associazioni che oltre ad assistere in salute la donna possono aiutarla a superare i motivi per interrompere la gravidanza sono decisamente sterili e puerili. Gli equivoci si annullano con la linearità e la chiarezza del 2 °comma dell’art 2 dove esiste il diritto/dovere dei consultori di avvalersi per i fini previsti dalla legge della collaborazione volontaria di idonee formazioni
sociali di base e di associazioni del volontariato che possono anche aiutare la maternità difficile dopo la nascita.
Il testo di questa parte dell’art. 2 dunque chiarisce in toto la possibilità di coinvolgere tutte quelle associazioni che contribuiscono a far superare le difficoltà delle gestanti nell’accogliere la vita nascente . Vietare o contrastare questo diritto/dovere dei consultori di scegliere la partecipazione di talune associazioni che hanno per finalità la tutela della vita del concepito rispetto ad altre significa discriminare tale coinvolgimento in aperto contrasto con la Costituzione.
Tanto più osteggiare formazioni sociali pubbliche o private nate per impegnarsi al superamento delle cause che potrebbero indurre la donna all’interruzione della gravidanza e promuovere i loro diritti di partecipazione rivelano un gravissimo atteggiamento antidemocratico vessatorio e contro la scienza medica nei confronti di chi svolge servizi sociali di alta dignità e rilevante valore.

Ne vale oltre alla difesa del nascituro anche la salute e la dignità della donna.

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