Come ogni anno, il Reuters Institute for the Study of Journalism di Oxford ha pubblicato il suo ‘Digital News Report’, un documento che dal 2012 racconta l’evoluzione del sistema informativo nei principali Paesi del mondo. Se i key points della dettagliata analisi continuano a evidenziare un trend ormai piuttosto evidente, il report di quest’anno presenta tuttavia una grande novità, ossia un’edizione tutta italiana. È stato infatti presentato il ‘Digital News Report Italia 2024’, sostenuto dalla Fondazione Compagnia di San Paolo e patrocinato dalla Rai, dall’Ordine dei Giornalisti e dall’Università degli Studi di Torino. Coordinato dal Professore Alessio Cornia e dal Master in Giornalismo “Giorgio Bocca” dell’Università degli studi di Torino, il report nasce come “supplemento d’inchiesta” alle specificità del sistema informativo italiano. Nelle 187 pagine di analisi si evidenzia una bipolarità delle tendenze all’informazione dei nostri connazionali, che pone a confronto un generale senso di sfiducia verso le notizie con una maggioritaria abitudine a ricercarle anche più volte al giorno. Come dicono i dati, infatti, meno del 40% del campione analizzato è interessato a rimanere aggiornato, ma più del 63% lo fa comunque più volte al giorno.
Per quanto concerne gli strumenti d’informazione, la televisione e i canali all news mantengono il primato, seguiti dai social media e dalle applicazioni e dai siti web di altri canali informativi. Raggiunge un buon risultato anche la trasmissione radiofonica, mentre continua nella sua caduta libera il giornale cartaceo, all’ultimo posto della classifica. Come mostrano questi risultati, l’informazione si sta sempre più digitalizzando, ma soprattutto mediatizzando: infatti, i principali strumenti per sapere cosa succede nel mondo sono le piattaforme che hanno una maggioranza di contenuti per l’intrattenimento e che consentono anche a chi non è giornalista di professione di creare e diffondere le news, come fanno oggi molti content creators anche attraverso i podcast, anch’essi molto quotati. E nemmeno il possibile utilizzo dell’AI pare preoccupare il campione analizzato. Questo è dovuto non solo a una maggiore accessibilità dei social e delle app d’intrattenimento, che consentono una fruizione gratuita dei contenuti, ma anche a una sovrabbondanza di notizie tragiche e all’esplicita linea politica seguita da molte case editoriali. Come sottolinea lo stesso Cornia: “Le testate che godono di maggior fiducia da parte degli italiani sono quelle meno schierate e capaci di parlare a un pubblico ampio e diversificato”.
Disposti a pagare
Sorprendentemente, i giovani italiani under 35 si mostrano non solo propensi all’informazione, ma anche ben disposti a pagare per ricevere contenuti che siano attendibili ma soprattutto approfonditi. Infatti, uno dei fulcri principali attorno a cui concentrarsi è la comprensibilità delle notizie, che passa per un accurato lavoro di approfondimento e obiettività. Come afferma il coautore dello studio Marco Ferrando: “Alcune variabili (propensione a pagare per abbonamenti e membership, interesse, fiducia) inducono a pensare che il migliore giornalismo debba farsi riconoscere come bene comune essenziale per la democrazia e la conoscenza, piuttosto che come mero prodotto commerciale. Inoltre, quanto emerge dall’analisi dei bisogni degli utenti secondo il paradigma degli user needs suggerisce di scommettere su una informazione di qualità, che, oltre ad aggiornare, spieghi, fornisca il contesto e offra prospettive non scontate e non schierate”.