Anche per quest’anno i conti trimestrali delle banche italiane hanno fatto il pieno di profitti.
Di questo trend estremamente positivo che segue quello dell’anno scorso hanno beneficiato prevalentemente i manager. Trai quali anche l’amministratore delegato di Bnp Paribas, il francese Jean-Laurent Bonnafé che avrà una retribuzione di circa 4,6 milioni di euro, composta per il 40% dallo stipendio e per il 60% da bonus.
Certo il confronto con i manager stranieri è perdente, ove si considerino le retribuzioni di Sergio Ermotti, ceo di Ubs, della presidente esecutiva di Santander, Anna Botin, di Noel Quinn, amministratore delegato di Hsbc, dell’amministratore delegato di Goldman Sachs, David Solomon, dell’a.d. di Jp Morgan Chase Jamie Dimon, di James Gorman a.d. Di Morgan Stanley, dell’a.d. Di Bank of America, Brian Moynihan.
Naturalmente non sono solo i banchieri a riempirsi il portafoglio, ma anche manager di altri settori merceologici, che peraltro non sempre fanno registrare andamenti brillanti come quello dell’auto: Carlos Tavares di Stellantis, ad esempio, che ha guadagnato 13,5 milioni di euro ed ha ricevuto anche un bonus di 10 milioni di euro.
Anche le società farmaceutiche non sono da meno, infatti. Pascal Soriot, che guida la britannica Astrazeneca vedrà aumentare la sua retribuzione da 16,9 milioni di sterline fino a 18,7 milioni. Tim Cook manager di Apple compresi i bonus ha raggiunto i 770 milioni di dollari. Sundar Pichai di Alphabet porta a casa i suoi 280 milioni fra stipendio base e premi di vario genere. Satya Nadella, ceo di Microsoft ha toccato i 309 milioni di dollari. Di fronte allo spettacolo inverecondo che offrono questi manager che percepiscono retribuzioni altissime annualmente, ci sono masse di cittadini e migliaia di famiglie che a stento arrivano ad assicurarsi un minimo per sopravvivere, come attestano anche gli ultimi dati dell’Istat secondo cui nel 2023 la povertà assoluta ha raggiunto in Italia “livelli mai toccati in precedenza, per un totale di 5 milioni 752mila individui in povertà”, cioè 1,6 milioni in più rispetto al 2014. E secondo un Report della Caritas e Save the Children presentato nei giorni scorsi, più di un bambino su sette, fra zero e tre anni, vive in povertà e segnala che crescono sempre più nuclei familiari con minori in stato di povertà. L’indagine nazionale ha interessato le Caritas di 115 diocesi. Tra le principali difficoltà che pesano sui bilanci delle famiglie ci sono: l’acquisto di prodotti di uso quotidiano, come pannolini (difficoltà percepita dal 58,5% degli assistiti), abiti per bambini (52,3%) o alimenti per neonati come il latte in polvere (40,8%), visite specialistiche pediatriche private (40,3%), acquisto di medicinali o ausili medici per neonati, specie se in presenza di disabilità o bimbi con disturbi del linguaggio (38,3%), rette per gli asili nido o degli spazi baby (38,6% dei nuclei).
“Questa condizione – spiega Claudio Tesauro presidente di Save the Children – incide non solo sul presente, ma chiude le loro aspettative per il futuro”.
Anche nel nostro Paese dunque vi sono, come ha scritto Papa Francesco nella “Evangelii Gaudium”, masse escluse ed emarginate che con la cultura dello scarto sono oggetto di sfruttamento e di esclusione dalla società. L’economia ai nostri giorni, infatti, vede spesso una rincorsa sfrenata ad un tipo di profitti che non generano progresso e che viceversa creano ed ampliano sempre più le disuguaglianze e le discriminazioni.