Le Regioni hanno avuto molto ora rinuncino agli arroccamenti dei potentati.
Necessario cambiare per tornare presto a decisioni univoche, responsabili a tutela dei cittadini.
Regioni contro Governo, l’autorevolezza delle decisioni che si frammenta contro i localismi fino a innescare polemiche e contrapposizioni. Sarebbe tutto questo, già in tempi normali, uno scontro sconveniente tra Stato e autonomie locali, ma in tempi di assoluta emergenza sanitaria, con centinaia di morti, con malati che lottano contro un virus che li soffoca, ecco che il riaccendersi delle tensioni tra Governo e Regioni mostra di per sé che è in atto un crollo di un sistema. Dove per sistema intendiamo quello sanitario affidato alle Regioni che in queste settimane – al di là degli sforzi di governatori e assessori che pure stanno pagano un prezzo altissimo – ha provocato una confusione da cui bisogna uscire al più presto pensando a un radicale cambio di rotta. Dalle mascherine ai dispositivi di tutela e sicurezza per il personale sanitario e dei cittadini, fino alla carenza di respiratori e posti letto, in altre parole di strutture adeguate per emergenze e cure, abbiamo sotto gli occhi il fallimento della governance della sanità affidata alle Regioni.
Un crollo di un sistema certificato della polemiche, talvolta assurde, dai botta e risposta, dalle dichiarazioni da entrambi le parti che sono apparse dannosissime per tutti i protagonisti. Inoltre, badiamo bene, non è una questione di fondi perché le risorse economiche per la sanità consegnate dallo Stato ai governatori, assessori e manager Asl, hanno subito un costante aumento. Addirittura una accelerazione mentre per paradosso si è registrato un taglio di posti letto, di chiusure piccoli ospedali e, in generale, di riduzione di servizi offerti ai cittadini i cui costi in molti casi sono in compartecipazione. O, come è noto, per esami di diagnostica e visite specialistiche ci sono liste di attesa per mesi. Oggi la crisi del sistema sanitario affidato alle Regioni viene denunciata con toni veementi da più parti, dalle associazioni di categoria dei medici e infermieri ma anche dalla politica, o almeno da quanti ricordano che il Sistema Sanitario Nazionale è stata una grande conquista della Prima Repubblica che ha posto è realizzato il fondamento di una Sanità universale per tutti i cittadini dei ricchi, dei poveri fino a coprire anche i cittadini immigrati o extracomunitari.
Insomma un bene per l’appunto “universale”. Oggi di quelle conquiste dello Stato e del popolo italiano affidate alle Regioni ne traiamo conseguenze difformi e, anche quei modelli sanitari che venivano indicati come eccellenze e con essi la complementarietà delle strutture private, anche le più blasonate, in questa emergenza così dilagante, hanno mostrato poco della loro decantata efficienza tanto che si parla solo di strutture pubbliche. Siamo arrivati per sopperire al deficit di posti letto – dopo miliardi di euro tagliati e portato l’Italia ad avere meno posti letto per abitante in Europa – addirittura di ospedali da campo, o allestiti in capannoni ex espositivi. In questi giorni, inoltre, in soccorso della sanità italiana arrivano medici e infermieri albanesi, ucraini, russi, cubani, cinesi che vengono in aiuto delle nostre strutture; la Germania che ospita i nostri malati; la Cina che ci invia mascherine e respiratori, l’America che annuncia sostegni economici, insomma una larga coraggiosa e affettuosa solidarietà. Il perché siamo diventati così fragili?
Bisogna avere il coraggio di dirlo, – e La Discussione lo ripete da anni -, la crisi è dovuta all’errore di aver decentrato la sanità pubblica dallo Stato alle Regioni. I conti e le decisioni quindi sono finite nelle secche delle diverse impostazioni della sanità attuata nei territori. Così abbiamo o, forse avevamo, una sanità di eccellenza al nord ed una che non andava al sud. Regioni che si fregiavano di avere tutto e altre annoverate e indicate come fonte di sperperi e clientele. Oggi l’emergenza Coronavirus ha tradotto in modo drammatico queste 20 realtà regionali dal mondo delle statistiche e dei documenti Parlamentari a quello terribile della realtà, mettendo nudo inefficienze che hanno avuto e avranno un prezzo altissimo. Si sollevano interrogativi su cui oggi si inizia davvero a riflettere: in primo luogo perché le diverse riforme Costituzionali che hanno portato la sanità dallo Stato alle Regioni hanno creato una disomogeneità di interventi da risultare dannosi?
Lo Stato può sopportare a tutela di tutti i cittadini, le contrapposizioni e le diverse iniziative messe in campo dalle Regioni? Certo ogni interrogativo è una sintesi quindi ci rendiamo conto di ridurre questioni enormi a domande. Possiamo però dire con determinazione che bisogna cambiare strada, è un dovere assumersi questa responsabilità, perché dopo la crisi sanitaria che ci auguriamo finisca per un ritorno a un minimo di normalità, saranno queste domande ad avere la priorità se vogliamo ancora discutere ed avere una sanità pubblica efficiente, dobbiamo pensare come la si vuole riorganizzare. Come si vorranno superare i ‘limiti’ del Titolo V e la necessità che, in casi di emergenza appunto, lo Stato possa intervenire su materie di cui non ha la competenza esclusiva, per avere una normativa uniforme ed omogenea su tutto il territorio ed evitare, così, che ciascuna Regione decida autonomamente e in difformità rispetto alle altre.
Bisognerà trarre una lezione da quanto accade, e pensare se sia il caso di far tornare in capo allo Stato alcune competenze come la Sanità – e aggiungo le politiche dell’Energia che oggi sono affidate alle volontà e alle indecisioni delle Regioni -. Ci rendiamo conto che sarà una riflessione importante e che le scelte, inoltre, dovranno essere concrete e rapide. Come Nazione e come cittadini lo dobbiamo non solo a chi ha sofferto e soffre di questa sciagurata emergenza ma anche alla future generazioni. Non possiamo consegnare ai giovani di oggi una sanità malata, inefficiente e preda di piccoli potentati.