domenica, 8 Settembre, 2024
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Venezia: uno studio rivela che il Mose potrebbe invecchiare prima del tempo

L’aumento delle chiusure della barriere del Mose pone sfide alla sostenibilità dell’infrastruttura a medio e lungo termine, sollevando preoccupazioni per l’impatto sulla qualità dell’ecosistema lagunare. Ovvero “il Mose rischia di essere inutilizzabile molto prima di quanto pianificato dai suoi progettisti, ormai quasi 50 anni fa, senza tener conto del cambiamento climatico.” Dunque oltre 6 miliardi di euro (scandalo e sprechi compresi) sarebbero da conteggiare in maniera diversa. Lo sostiene uno studio coordinato dall’Università Ca’ Foscari Venezia, pubblicato sulla rivista Regional Environmental Change, offre una nuova prospettiva sulla sostenibilità economica del sistema Mose che dal 2020 protegge Venezia dall’acqua alta.

L’analisi valuta l’impatto economico e le prospettive future del Mose considerando diversi scenari di cambiamento climatico e conseguente innalzamento del livello del mare. La ricerca su costi e benefici dell’utilizzo del Mose mostra come “i benefici economici superino” significativamente (di un ordine di grandezza) i costi di investimento e le perdite economiche per le attività portuali dovute alle chiusure del Mose. I benefici prevalgono in entrambi gli scenari di innalzamento del livello del mare considerati nello studio.

Nel 2060 già ‘stressato’

“Tuttavia, l’aumento delle chiusure pone sfide alla sostenibilità dell’infrastruttura a medio e lungo termine, sollevando preoccupazioni per l’impatto sulla qualità dell’ecosistema lagunare. Il Mose rischia di essere inutilizzabile molto prima di quanto pianificato dai suoi progettisti, ormai quasi 50 anni fa, senza tener conto del cambiamento climatico. Secondo la ricerca, se il Mose venisse attivato con previsioni di marea a partire da 110 centimetri sul medio mare, potrebbero essere superati i 50 giorni consecutivi di chiusura della Laguna nell’ultimo quarto di secolo. L’infrastruttura potrebbe reggere un’attività così intensa? Difficile stimarlo con le informazioni oggi disponibili, ma gli autori evidenziano che anche ponendo un ipotetico tetto di 50 chiusure l’anno (oltre 10 volte il limite pianificato), il Mose potrebbe risultare eccessivamente stressato già attorno al 2060 nello scenario climatico peggiore e appena un decennio dopo nell’ipotesi di efficace contenimento del cambiamento climatico.

Strategie a breve e lungo termine

Le strategie, dunque, dovrebbero seguire due strade. Da una parte, nel breve-medio periodo, ridurre le chiusure per mantenere l’infrastruttura, ad esempio alzando la soglia oltre gli attuali 110 centimetri di marea. Questo implica proteggere i punti della città che verrebbero comunque sommersi fino alla soglia di attivazione del Mose. Per il lungo periodo, serve definire e sperimentare fin d’ora nuove strategie per affrontare la crescita del livello del mare quando il Mose non sarà più sufficiente.

Rivedere i piani di salvaguardia

“I nostri risultati evidenziano l’importanza di integrare e rivedere le strategie di salvaguardia della città, considerando l’innalzamento del livello del mare e le sue implicazioni economiche e ambientali. – afferma Carlo Giupponi, professore di Economia ambientale a Ca’ Foscari e coordinatore dello studio – È cruciale un approccio integrato, socioeconomico e ambientale, capace di gestire con efficacia i possibili scenari futuri, per proteggere questo patrimonio unico.” Lo studio sottolinea l’urgenza di adottare misure di adattamento e prevenzione per salvaguardare Venezia, il suo patrimonio culturale e il suo ambiente, di fronte ai cambiamenti climatici. Tra le strategie menzionate, il pompaggio di acqua marina nelle falde per contrastare la subsidenza e alzare la città, oppure la netta separazione tra laguna e mare similmente a quanto accaduto in Olanda, con dighe di protezione.

Questi scenari richiedono anche forti investimenti sul sistema fognario, inadeguato nella maggior parte della città, l’eventuale deviazione di oltre 25 piccoli fiumi e canali che continuano a sfociare in Laguna, e lo spostamento del porto in mare aperto. Gli autori riconoscono che un limite dello studio è non avere a disposizione stime precise riguardo i costi di manutenzione dell’infrastruttura e i suoi limiti operativi in termini di massimo di chiusure sopportabili. Pertanto, i calcoli sono stati ripetuti, utilizzando diversi ipotetici valori per analizzarne gli effetti sui risultati finali.

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