Fausto Bertinotti, intervistato venerdì sul caso Toti da Tiziana Panella a Tagadà (LA7), ha esordito, osservando che serve un “soprassalto di dignità della politica”.
Risvegliando al massimo, con tale risposta, la mia attenzione: sia perché ho stimato da sempre Bertinotti come uno dei più interessanti esponenti politici italiani, sia perché la sua osservazione coincideva con una mia convinzione più volte espressa in generale e che i commenti sull’arresto del governatore Toti hanno risvegliato.
Ma consentitemi, prima di entrare nel tema, due parole ancora su Bertinotti che, ovviamente, non si è limitato a quel commento, ma ha svolto alcune riflessioni di grande equilibrio, quando l’abile conduttrice televisiva cercava di portarlo sulla questione morale e sul sottinteso primato della sinistra.
Questione che Bertinotti (con un pensiero anche al “premierato”) ha liquidato, rilevando come tutto discenda dall’accentramento del potere, a partire di quello dei partiti: che, come tali, sono inesistenti, privi di effettivi organismi collegiali democratici con pluralità di voci, ma totalisti in mano ai capi, che hanno anche il potere di nominare i parlamentari; riconnettendo all’eliminazione del voto di preferenza un danno assoluto.
Osservazione che sottoscrivo: e chiudo il panegirico (da parte di un liberale!) di Bertinotti citando una sua osservazione tratta dalla bella intervista concessa a Francesco Verderame su Il Corriere della Sera dello scorso 21 aprile: l’importanza che ebbe, sulle sorti del movimento operaio la “marcia dei quarantamila” della FIAT il 14 ottobre 1980. Lo stesso commento del mio Maestro, Domenico Barillaro, che (su un evento che io allora ventisettenne non avevo neppure rilevato) mi disse: «oggi è finito il potere dei sindacati in Italia».
Quindi Bertinotti si augura un soprassalto di dignità della politica. Che non significa “onestà” che è un valore indiscutibile, ma la riaffermazione di un primato che non è più tale. La politica, in effetti, sulla vicenda Toti non ha dato un bello spettacolo, ciascun schieramento volendo solamente rivolgersi ai propri seguaci, consegnando ad essi i luoghi comuni loro più cari. Peggio ancora quando si premetteva un non sentito ed inesistente garantismo, smentito clamorosamente dalla frase: “dimostrerà la propria innocenza” ignorandosi, quindi, che è l’accusa che deve dimostrare la reità oltre ogni ragionevole dubbio. Frase, beninteso, comune a tanti, senza distinzione di schieramento politico.
Ipocrito garantismo che ha trovato la sua massima vetta nel dibattito sulla giustizia ad orologeria, essendo stato disposto l’arresto del governatore Toti pochi giorni prima delle elezioni europee. Episodio visto da alcuni come il segnale dell’inizio vero della campagna elettorale, con l’entrata in campo del potere giurisdizionale, piccato della annunciata separazione delle carriere.
Non lo so. Non so se sia vero e non mi interessa.
Rilevo, però – come ho già fatto in molteplici occasioni – che il giudice applica le leggi: e se è consentito privare della libertà un cittadino incensurato, sulla base di fatti risalenti nel tempo, con la certezza di avergli inflitto una pena ed un pregiudizio irreparabile qualora l’ipotesi accusatoria non trovasse conferma nel processo, è perché la legge lo consente.
I magistrati – il P.M. che ha chiesto e motivato la misura cautelare ed il Giudice che l’ha disposta – hanno agito nell’ambito di quanto previsto dalla legge. La legge la fa il legislatore: e se l’Italia è condannata 500/600 volte l’hanno per ingiusta detenzione (30.000 in totale i cittadini ingiustamente arrestati negli ultimi trentuno anni: fonte Associazione “Errori giudiziari”), non è per colpa della magistratura, ma de leggi che permettono ciò.
Nell’impossibile riforma della giustizia che non avverrà, contrabbandando il legislatore piccoli e disarmonici interventi in riforme, andrebbe ricercato un totale sovvertimento dell’attuale inefficienza, per determinare una differente cultura giudiziaria. Un intervento sarebbe necessario ed urgente proprio nelle misure cautelari: troppo facilmente concepibili e che hanno come finalità dichiarata, quella di indurre alla confessione. Una sorta di “tortura” ammessa per legge, aggravata dalla non distinzione nel sistema carcerario tra reo accertato e condannato e presunto innocente privato della libertà prima della condanna. Perché, almeno tra i media più popolari, prevale sempre lo sdegno per l’assoluzione, per il reato rimasto senza colpevole. Così che spesso mi chiedo– ma fortunatamente, da avvocato che pratica soltanto la giustizia civile ed amministrativa – se lo scopo della giustizia penale debba essere solamente la condanna; e se valga ancora il principio che sono meglio mille delinquenti liberi che un solo innocente ingiustamente condannato.
Ma la dignità del legislatore dovrà essere ritrovata anche nel fare le leggi.
Senza entrare nel caso Toti (che non conosco) il punto è se si possa prevedere una possibilità e subito dopo stabilire un reato che limiti quella possibilità. Si richiede il finanziamento privato dei partiti e poi si determinano ipotesi di reato per limitare la politica concreta. Se io fossi un petroliere, ad esempio, non darei un centesimo ai partiti che sostengono le energie alternative. Ma anche viceversa: se fossi un produttore di pale eoliche finanzierei il partito che le sostiene.
In entrambi i casi, prevalendo il partito da me finanziato, e quindi vendendosi più petrolio o più pale eoliche, a seconda dei casi, avrei un vantaggio economico. Ma questo, oggi, potrebbe risultare essere un reato: non perché se lo inventano i giudici, ma perché il legislatore lo ha, demagogicamente, previsto.