L’aumento dell’aspettativa di vita e la presenza tra gli anziani di multimorbilità, associate a linee guida che suggeriscono regimi terapeutici composti da più farmaci per patologie comuni (ad esempio; ipertensione, diabete, insufficienza cardiaca), ha portato alla comparsa di complessi regimi polifarmacologici. Secondo dati condivisi un terzo delle persone di età superiore ai 65 anni convive con multimorbilità e assume regolarmente cinque o più farmaci (“polypharmacy”), percentuale che aumenta al 50% negli over 85. Ma la politerapia è spesso associata ad un aumento del rischio di reazioni avverse ai farmaci che possono causare ospedalizzazione, lesioni da caduta, fragilità e mortalità.
Nuova sindrome geriatrica
Nel 2019 una ricerca condotta da Jennifer Stevenson e altri, dell’Institute of Pharmaceutical Science, King’s College di Londra ha sostenuto che la possibilità che si verifichino problemi legati ai farmaci è maggiore nelle persone anziane, a causa dei cambiamenti nella farmacocinetica e nella farmacodinamica, come la ridotta funzionalità epatica e renale, del prolungato tempo di emivita prima dell’eliminazione e dell’aumento della sensibilità ai farmaci. I ricercatori, allora, sostennero che il danno correlato ai medicinali dovrebbe essere trattato come una “sindrome geriatrica.”
Farmaci inappropriati
Tra i vari farmaci prescritti alle persone anziane, quelli che comportano un rischio di reazioni avverse, che superano i benefici attesi, sono classificati come farmaci potenzialmente inappropriati (PIMs). I PIMs sono definiti quindi come “farmaci che dovrebbero essere evitati a causa del loro rischio che supera il loro beneficio e quando esistono alternative ugualmente o più efficaci ma disponibili con un rischio inferiore”. Una strategia per risolvere il problema della politerapia e dei PIMs è la revisione delle terapie farmacologiche e quindi la deprescrizione di farmaci. La deprescrizione è generalmente definita come un processo sistematico di sospensione del farmaco, riduzione graduale o addirittura sostituzione di farmaci inappropriati, supervisionato da un operatore sanitario, con l’obiettivo di gestire la politerapia e migliorare i risultati.
Ancora lacune nella ricerca
La deprescrizione però non è universalmente sostenuta. Uno studio condotto da Nicola Veronese (con altri), del Dipartimento di Medicina Interna dell’Università di Palermo, Sezione Geriatria, ha valutato 456 articoli, incluse 12 revisioni sistematiche (sei con meta-analisi) per un totale di 44.193 pazienti e conclude che in situazioni di fine vita, la deprescrizione ha ridotto significativamente il tasso di mortalità di circa il 41%, e che generalmente “la deprescrizione è un intervento promettente in contesti e situazioni diverse, ma una notevole lacuna nella letteratura riguardante i suoi effetti su risultati sostanziali esiste ancora”.