domenica, 17 Novembre, 2024
Società

Un caffè con… Raffaele Nigro

Sin dal 1987, quando vinse il Premio Campiello per il suo libro “I fuochi del Basento”, Raffaele Nigro è stato sempre considerato, nel panorama letterario italiano, uno tra i più originali e  interessanti scrittori contemporanei. Nato a Melfi, è stato caporedattore della Rai. Ha scritto saggi sulla letteratura italiana del Quattro e Cinquecento, sulla letteratura del ribellismo, reportage come Diario Mediterraneo (Laterza, 2001) e Il mondo che so (Hacca, 2019) e una ventina di romanzi tradotti in molte lingue, tra i quali ricordiamo  “Malvarosa” (Rizzoli, 2005; Premi Mondello, Biella, Flaiano, Selezione Campiello) “Quella di Nigro – è stato scritto – può essere considerata una scrittura “sperimentale” e “antropologica”.

Il suo lavoro è tipico di uno scrittore che si sforza di inventare una nuova tipologia letteraria in rotta di collisione con il convenzionale, in quanto va oltre le formule del realismo e si fonda sull’uso di metafore e invenzioni proprie del realismo magico. Sempre di Raffaele Nigro, oltre ai  “Fuochi del Basento” e “Malvarosa” vogliamo ricordare; “La Baronessa dell’Olivento”, Premio Carlo Levi 1991; “ Il piantatore di lune”, Premio Latina per il Tascabile 1991; e “Ombre sull’Ofanto”, Premio Grinzane Cavour 1993; Di recente, insieme a Raffaele Lupo ha scritto un bel libro che si chiama “Civiltà Appennino”. 

L’Appennino – si legge nella scheda libro – viene identificato come il luogo di riconquista di una lunga e radicata tradizione letteraria, artistica, identitaria che vuole essere aperta all’innovazione. Sono proprio i tratti fondativi della «civiltà Appennino» quelli che Raffaele Nigro e Giuseppe Lupo ci rivelano in questo libro, mettendo in rapporto suggestioni e nozioni provenienti dalla letteratura, dalla storia, dall’antropologia, dall’arte.

È proprio da questa Civiltà dell’Appennino che vorrei partire. La tua scrittura è stata definita antropologica che sconfina nel realismo magico. Ebbene, in questo terribile momento che stiamo attraversando, molte sono le domanda che ci poniamo. Ad esempio che tipo di relazione si instaura tra ragione e superstizione, tra scienza e fede, tra l’attaccamento alla vita e la spirale della morte? Nei tuoi libri e nelle situazioni che hai descritto, c’è spazio per questi interrogativi sulla natura che non genera più solo la vita ma che sparge soprattutto la morte?
 Leggo quotidianamente montagne di riflessioni, versi, pensieri sull’epidemia, sulla morte, ma poche sulle armi spuntate della scienza. Il che mi fa pensare che non si smonta una fiducia rafforzatasi negli ultimi cento anni.
Ma il mondo non è sempre stato così, con una differenza enorme tra ieri quando la sfiducia nella scienza era somma perché la si vedeva inefficace contro la natura e oggi, un tempo in cui l’efficacia è diventata somma.
Anzi, cresce la meraviglia per il fatto che l’ombrello della scienza non riesca ad aprirsi pienamente su di noi. Nonostante cancro,malanni, guai di ogni genere, cresce la fiducia nella medicina, nel  Sistema Sanitario  e nei medici. Quando eravamo in mano a una medicina analfabeta allora  esistevano come soli medici, i santi, la chiesa, le benedizioni e dei sacerdoti cattolici e di pagani come rimedianti,sciamani e maghi.
Abbiamo visto in questi giorni intorno a noi l’ombra bianca del Papa, corre da una chiesa a un’altra per impetrare grazia. Solo a ostensorio alzato sul buio del mondo. Non so quanto riesca a influire sul nostro rasserenamento,sulla fiducia del popolo in un intervento sovrannaturale. Ci crediamo,per carità, per garantirci una pace eterna, ma per l’aldiquà aspettiamo in realtà soltanto un antivirale, un vaccino.
Questa uscita dal buio io ho raccontato nei miei libri, la fuga da un mondo soggiogato dal malocchio e dalla fascinazione. Un mondo redento dalla cultura.

 Questa epidemia è stata rappresentata da alcuni come una vendetta della natura. Il pianeta che, stanco di subire, reagisce così allo sfruttamento selvaggio delle sue risorse, all’inquinamento massiccio delle sue città, alla deforestazione dei suoi grandi polmoni. Alcuni scienziati sostengono che, a causa del microclima e dell’inquinamento, il virus si sta spostando più da Est a Ovest che da Nord a Sud. I territori più dinamici ma anche più inquinati, come la nostra pianura padana ad esempio, starebbero pagando un caro prezzo al mito dello sviluppo, alla spasmodica crescita del Pil, alla bramosia di ricchezza che non guarda in faccia a nessuno. Quanto c’è di vero, a tuo parere, in queste interpretazioni della pandemia?
Non sono un epidemiologo,ma c’è molto di vero in queste riflessioni. In cento anni abbiamo sventrato la natura e l’habitat come non era accaduto in miliardi di secoli. In quanto al nord mi dispiace che stia pagando un prezzo così alto di vite, soprattutto di poveri anziani, di mamme nonni papà, di medici e di infermieri.
Questa tragedia del popolo fa a pugni con l’atteggiamento di sufficienza antimeridionale e antigovernativa dei loro rappresentanti e politici e scientifici che hanno una vanagloria di efficienza, una sicumera, un complesso di superiorità che fa spavento. Loro sono Dio. Loro sono la scienza e l’organizzazione personificate.
Faccio un esempio. L’ospedale Cotugno di Napoli ha provato a fare uso di medicinali antiartritici e li ha già usati per tre quattromila affetti da coronavirus. Non ho sentito una volta, sia una volta i dirigenti e primari di Milano accettare un atto di umiltà e prendere in esame una sperimentazione non nata in casa loro.
Non è solo la natura adirata, è la natura umana di soggetti come Salvini Fontana e Zaia a preoccuparmi.
Abituati a guardarsi l’ombelico. A perseguire una lumbardexit mascherata. Il mezzogiorno e il governo per costoro,esistono solo nel bisogno, nelle richieste di autonomia economica costante e di aiuti contro l’acqua alta e contro il super contagio. Non smettono mai di chiedere, di pretendere, di battere i piedi e di sputarci in  faccia. Sono come figli unici violenti e viziati. E se ne fregano altamente per qualsiasi  valore dell’umano che non sia targato “padano”. 

Andrea Di Consoli, in un suo recente articolo pubblicato sul Quotidiano del Sud, ha scritto che la fuga dei meridionali dal Nord è stata “una scelta irrazionale, emotiva, sicuramente sbagliata, ma umana, umanissima. Una decisione dettata da un istinto ancestrale, quello di tornare a casa, al sicuro. Dobbiamo capirlo, anche se è un atto irrazionale, irresponsabile. Il sogno del meridionale è di morire a casa sua, nella camera dov’è cresciuto”.
È ancora così il giovane meridionale, come lo descrive Di Consoli, oppure è cambiato  nella  sua mentalità, nel suo stile di vita e più in generale nella sua cultura?
Cambiare è cambiato. Questi sono ragazzi iscritti all’università o sono operai stagionali. Ma ne conosco tanti che sono rimasti nei luoghi di residenza. Con coraggio e con amore per i genitori e i nonni lontani. Attaccati ai telefoni. Davvero eroici. La paura ha tappato gli occhi e il cervello di tanti altri. Ricordo negli anni ’70 il colera.
Io non tornai, sebbene mia madre mi chiamasse. Ma io non sono un eroe. Forse di fronte a questa pandemia spaventosa oggi sarei tornato. Preoccupato per i miei. Ma un fatto è certo. I giovani oggi se devono fuggire di casa per propria esperienza e per attestare la propria crescita sono felicissimi, felici nel cercare la felicità nelle metropoli del nord o di mezzo mondo. Non tornano manco a Natale. Che gliene frega di un mondo vecchio, in consunzione, arcaico. Tutti forti, moderni e decisi. Ed egoisti. Proiettati verso la modernità dal volto globale.
Eccoli poi a cercare la mamma e la casa nei momenti cruciali. Quando scoppia lo tsunami. Segno di un mondo coccolato e a cui non si è garantito una spina dorsale.
E tuttavia questa mia visione un po’ si smentisce nel momento in cui la gente risponde in 8000 alla chiamata alle armi di personale medico e in 3000 quando si chiede personale infermieristico. È su questi controsensi che bisognerebbe soffermarsi, perché qui io vado in tilt.

Una domanda, ora, al giornalista,  al professionista che ha raccontato e commentato per una vita, le contraddizioni ma anche le tante cose belle che ci sono nel Sud. Siamo consapevoli che questa pandemia avrà  pesantissime ripercussioni sul tessuto produttivo italiano e ancor più su quello del Mezzogiorno. L’emergenza più acuta, a mio parere, il Sud l’avrà sul sistema sanitario. Ora che questa tragedia ha colpito sia il nord che il sud del Paese,  non sarebbe il caso di sottrarre alla politica la gestione  della Sanità?  Oltre che per il lavoro, non  sarebbe  opportuno predisporre un bel Piano Marshall anche  per la sanità nel Mezzogiorno?
Da almeno trent’anni non sento parlare che di tagli alla Sanità. I piccoli presidi ospedalieri sono stati chiusi, depotenziati, uccisi. E’ scoppiata la guerra tra ospedali metropolitani e ospedali di periferia per il patto di stabilità. Si pensi che il San Carlo di Potenza intendeva ridurre il Crob di Rionero a un micro lazzaretto.
Il Crob si occupa di ricerca in campo tumorale. Ha però fatto chiudere la neonatologia e il pronto soccorso di Melfi. Dove c’è un polo industriale di 20.000 operai, Fiat, Barilla. Un supercarcere già sguarnito di tribunale.
Si approfitta delle varie strette europee per procedere a guerre contro i più poveri. Così ho visto sparire ospedali da tutta l’Irpinia e stessa cosa è accaduto anche in grandi città come Trani, Barletta. Per concentrare tutto a Bari, Foggia e Lecce. Sguarnendo i presidi territoriali. Spero solo che non esploda la moria nel Sud, altrimenti ne vedremo delle belle e i morti non si conteranno. 

Durante questi giorni di isolamento sociale, a parte qualche nota stonata, abbiamo visto che i meridionali stanno reagendo abbastanza bene alle raccomandazioni e agli ordini del Governo. Non era mai successo niente del genere dai tempi della seconda guerra mondiale. Le nuove generazioni, compresa la nostra, non erano per niente abituate a questo scenario da incubo. Ora però, pare che non esistano più i siciliani, i calabresi o i napoletani. Si sentono tutti, con responsabilità e con orgoglio, soltanto italiani. Questa durissima prova che stiamo vivendo, a tuo parere, metterà fine agli stereotipi del meridionale indolente, indisciplinato, ora e sempre bastian contrario del Governo e del Potere costituito?
Non metterà fine a niente. I grandi propositi resistono il tempo della quarantena, poi riesplode la natura dell’uomo. Machiavelli diceva che Adamo non cambia mai, nei millenni. Non abbiamo subito guai durante due guerre mondiali? Con che insegnamenti? E gli ebrei che hanno subito vessazioni nei campi di sterminio, come si comportano con i palestinesi?  Non avrebbero dovuto imparare qualcosa?

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