Le singolari polemiche che hanno accompagnato l’ ultimo esercizio delle deleghe conferite all’attuale Governo in materia di giustizia si sono essenzialmente appuntate su una questione, a mio avviso, assolutamente non meritevole di esser contrastata: quella dei test psicologici cui assoggettare i concorrenti al ruolo di magistrato.
Intendendo – e non solamente per brevità, ma anche per non alimentarne di ulteriori – evitare di entrare nel merito di quelle polemiche mi limiterò a ricordare come, almeno nella situazione attuale, la selezione dei candidati al concorso in magistratura assuma una rilevanza strategica per ottenere una “giustizia giusta”.
Non solo le competenze tecniche e la conoscenza del diritto sono infatti essenziali, ma anche le qualità umane e l’equilibrio mentale dei magistrati giocano un ruolo cruciale nel garantire quella giustizia unitamente al benessere di coloro che vi sono assoggettati.
In questa situazione, l’introduzione di strumenti psicologici da tempo validati – come il Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI) – anche con riferimento al processo di selezione dei magistrati, rappresenta una prospettiva, tutt’altro che innovativa, visto che è utilizzata in molti altri Paesi dell’ Unione europea come la Francia e la Spagna .
Il MMPI, con la sua comprovata affidabilità nella valutazione della personalità e delle eventuali predisposizioni psicopatologiche, offre perciò un mezzo per identificare candidati dotati non solo delle necessarie competenze tecnico-giuridiche, ma anche di quelle qualità di equilibrio mentale indispensabili per affrontare con saggezza e imparzialità le delicate responsabilità di ogni magistrato.
Ricordo dunque che il MMPI è uno degli strumenti più noti ed utilizzati per le valutazioni psicologiche fin da quando – all’inizio degli anni ’30 – fu sviluppato, da Hathaway e McKinley, presso l’Università del Minnesota, contribuendo pure alla diagnosi dei disturbi psichiatrici; con il passare degli anni, il MMPI ha subito diverse revisioni, tra cui le versioni MMPI-2 e MMPI-2-RF, ampliando la sua applicabilità, anche oltre il contesto clinico, a quello forense.
Il MMPI si distingue per la sua struttura complessa e per l’ampio spettro di tratti della personalità e del comportamento che è in grado di valutare; esso consiste in una serie di domande cui il soggetto deve rispondere con “Vero” o “Falso”, permettendo così di costruire profili psicologici dettagliati: Il test include diverse scale progettate anche per identificare pattern di risposta e possibili tentativi di manipolazione del test.
Numerose ricerche hanno dimostrato che il test fornisce misurazioni resistenti nel tempo e che i suoi risultati sono validi indicatori di determinati tratti della personalità, come di potenziali disturbi psicologici.
L’impiego del MMPI nei processi di selezione per l’accesso alla magistratura risponde così all’esigenza di integrare le valutazioni delle competenze giuridiche con un’attenta analisi delle caratteristiche psicologiche dei candidati, quali la capacità di gestire lo stress, di prendere decisioni equilibrate sotto pressione e di mantenere un comportamento etico incrollabile, assicurando che solo i candidati più idonei siano ammessi a ricoprire ruoli di una simile responsabilità.
Nelle professioni forensi – e in particolare in quella giudiziaria – l’equilibrio mentale rappresenta d’altronde una pietra angolare indispensabile per il corretto esercizio delle relative funzioni e l a capacità di affrontare questioni complesse, spesso gravate da un forte impatto emotivo, richiede una robustezza psicologica che va ben oltre la mera conoscenza delle leggi, della giurisprudenza e della prassi.
La mancanza di equilibrio mentale in un magistrato può infatti avere ripercussioni gravi, non solo sulla qualità delle decisioni giudiziarie, ma anche sulla percezione dell’idea di giustizia da parte dei cittadini, soprattutto allorché disturbi non diagnosticati o tratti di personalità disfunzionali portino a pregiudizi, decisioni inique o comportamenti inappropriati, erodendo la fiducia nell’istituzione giudiziaria come tale.
Casistiche di magistrati che hanno manifestato comportamenti incoerenti o eticamente discutibili sotto pressione evidenziano la necessità di una valutazione preventiva dell’equilibrio mentale; tali episodi dimostrano come l’incapacità di gestire lo stress o di rimanere imparziali possa tradursi in ingiustizie che possono comportare conseguenze irreversibili per le vite coinvolte dalle decisioni o dalle misure rispettivamente adottate.
In questo contesto, l’impiego di strumenti come il MMPI nel processo di selezione assume un’importanza critica per poter identificare preventivamente candidati che possiedano le qualità psicologiche richieste onde affrontare le sfide della magistratura e rappresenta un passo avanti significativo verso la garanzia di un sistema giudiziario più equo e funzionale.
L’integrazione del Minnesota Multiphasic Personality Inventory nel processo di selezione dei magistrati rappresenta allora un approccio innovativo volto a rafforzare l’obiettività e la completezza di valutazione dei candidati.
Per concludere osservo come l’integrazione del MMPI nel processo di selezione dei magistrati si proponga come un’innovazione capace di rivoluzionare il modo in cui vengono scelti coloro che ricopriranno ruoli di cruciale importanza nel sistema giudiziario e l’applicazione di questo strumento psicologico, tra la prova scritta e quella orale, mira perciò a garantire che i candidati selezionati possiedano non solo le competenze legali necessarie ma anche le qualità personali e l’equilibrio mentale indispensabili per affrontare le sfide del ruolo che aspirano a ricoprire.
Ecco perché coloro che si oppongono all’introduzione di questo strumento nell’ambito dei processi di selezione degli aspiranti magistrati non meritano neanche che le loro argomentazioni vengano prese in considerazione: oggi dal Governo o dal Parlamento e domani dalla Corte Costituzionale.