venerdì, 15 Novembre, 2024
Sanità

Covid-19, intervista al Prof. Andreoni (Virologo): “Un errore la chiusura dei reparti di malattie infettive”

“L’aver sottovalutato il problema delle infezioni – in questi ultimi anni numerosi reparti di malattie infettive sono stati chiusi e molti ospedali sono privi di un servizio consulenziale specifico – è stato un grave errore”. L’analisi è del Professor Massimo Andreoni, un luminare nel campo dello studio delle malattie infettive, con oltre trecento pubblicazioni su riviste internazionali ed un curriculum lunghissimo, ricco di esperienze e risultati di prestigio ottenuti nel corso della sua lunga e brillante carriera.

Professore Ordinario di malattie Infettive della facoltà di Medicina e Chirurgia Università degli studi di Roma “Tor Vergata”, del medesimo ateneo è stato anche vicepreside della Facoltà di Medicina e Chirurgia. Attualmente è direttore scientifico della Società Italiana di Malattie Infettive.

Al Professore Andreoni abbiamo chiesto come e perché si è sviluppata l’emergenza Covid 19 e quali scenari si possono ipotizzare per il futuro.

Prof. Andreoni, in cosa consiste la pericolosità di questo virus. E per quali pazienti?
“Il COVID-19 è un coronavirus animale, in particolare dei pipistrelli, che ha compiuto un “salto di specie” cioè si è adattato dall’animale all’uomo. Questo evento, rappresenta sempre un grave pericolo per l’umanità perché il nuovo virus ha una potenzialità pandemica, cioè di infettare tutte le persone. Nello specifico, è particolarmente pericoloso in quanto altamente contagioso e per la sua caratteristica di trasmettersi per via aerea attraverso i droplets (goccioline di saliva che vengono emesse con i colpi di tosse o con gli starnuti). Inoltre un virus nuovo non trova nessuna difesa immunitaria in particolare dell’immunità “innata” che rappresenta la prima difesa contro tutti i microrganismi. Il virus è particolarmente pericoloso per i soggetti più anziani e affetti da co-morbosità”.

La curva pandemica quando raggiungerà il suo picco massimo e quando, tutti gli italiani potranno pensare di ricominciare a vivere la quotidianità?
“È difficile stabilire quando sarà raggiunto il picco dell’epidemia: le misure di contenimento attraverso l’allontanamento sociale sono sicuramente efficaci ma devono essere rispettate in modo assoluto. Inoltre, queste misure sono state attuate in ritardo nel nord dell’Italia in cui l’epidemia in questo momento sembra di difficile controllo. È presumibile, comunque, che il picco possa essere raggiunto nei prossimi 10 giorni sempre che non si verifichino nuovi focolai epidemici. Comunque, le misure attualmente applicate dovranno essere mantenute per almeno un mese dal completo controllo dell’epidemia”.

Passata l’emergenza Coronavirus, cosa  andrebbe migliorato a livello di Sanità italiana?
“La sanità italiana offre uno dei servizi migliori a livello mondiale in termini di cura e di assistenza. Certamente l’aver sottovalutato il problema delle infezioni – in questi ultimi anni numerosi reparti di malattie infettive sono stati chiusi e molti ospedali sono privi di un servizio consulenziale specifico – è stato un grave errore. L’epidemia da germi multi-resistenti agli antibiotici che stiamo vivendo da alcuni anni e che vede l’Italia come paese maggiormente colpito deve far riflettere. Certamente l’epidemia da COVID-19 lascerà un patrimonio di reparti di Malattie Infettive e di Terapia Intensiva che non dovrà essere dissipato”.

Secondo Lei,sarebbe utile che i cittadini si sottoponessero a test rapidi diagnostici in vitro?
“La ricerca del virus attraverso il tampone naso-faringeo rappresenta oggi il test diagnostico di riferimento e viene applicato solo a soggetti francamente sintomatici. Il test ha una discreta complessità (circa 4 ore per la sua realizzazione) che rappresenta un ostacolo alla applicazione su larga scala. I nuovi test rapidi che si stanno realizzando che prevedono un tempo di esecuzione di meno di un’ora rappresenteranno sicuramente un reale impulso all’esecuzione di un numero sempre maggiore di accertamenti sia in persone scarsamente sintomatiche che nel personale sanitario. Queste misure sono indispensabili per un valido contrasto all’epidemia”.

Perché la percentuale di vittime di pazienti in terapia intensiva è maggiore al Nord rispetto al Sud Italia?
“La mortalità in Italia si attesta al 9% e risulta essere molto più alta di quella segnalata in tutti gli altri paesi. Questo dato in realtà sopravvaluta la mortalità ed è spiegato dal limitato numero di tamponi effettuati in soggetti sintomatici in Italia. Per tale motivo è presumibile che il reale numero di casi sintomatici nel nostro paese debba essere triplicato rispetto a quello notificato. Inoltre si deve considerare che nella maggioranza dei casi l’infezione decorre in modo del tutto asintomatico, per cui si può dedurre che in Italia il numero di soggetti infettati da COVID-19 sia probabilmente di diverse centinaia di migliaia. Relativamente alla mortalità eventuali differenze tra le diverse regioni italiane potrebbe essere dovuta principalmente alle diverse alle diverse capacità assistenziali messe in atto negli ospedali del nord rispetto a quelli del sud. Tale differenza però potrebbe essere vanificata in considerazione del numero di soggetti affetti che in questo momento è assai più elevato al nord e che mette in difficoltà la capacità assistenziale”.

Quali i farmaci sono attualmente utilizzati? Quando arriverà il vaccino?
“I farmaci che attualmente utilizziamo sono: farmaci antivirali che utilizziamo sono solo parzialmente efficaci contro il COVID-19 in quanto sono stati realizzati per agire contro HIV (lopinavir/ritonavir), contro i virus influenzali (favipiravir) e contro il virus ebola(remdesevir) e Farmaci anti-infiammatori, e in particolare il Tocilizumab (farmaco che blocca l’interluchina 6) e l’Idrossoclorochina. Ci sono almeno 20 centri di ricerca al mondo, tra cui anche alcuni italiani, che stanno lavorando per produrre un vaccino per COVID-19.

Il vaccino potenzialmente potrebbe essere realizzato in tempi molto brevi ma la sperimentazione per valutare efficacia ed eventuale tossicità ma soprattutto i tempi di produzione su larga scala necessari per trattare milioni di persone fa ritenere che siano necessari almeno 12 mesi per il suo eventuale utilizzo”.

La ringraziamo e auguriamo buon lavoro di cuore #uniticelafaremo.

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