martedì, 26 Novembre, 2024
Lavoro

Lavoro: l’occupazione femminile non decolla

Negli ultimi venti anni, il mercato occupazionale italiano è andato incontro a un processo di profonda trasformazione socioculturale che ha coinvolto attivamente le donne. Contrariamente al passato, non esistono più preclusioni formali all’accesso delle donne a una vasta gamma di professioni. Nonostante ciò, la parità nel mercato del lavoro è ancora lontana dall’essere pienamente realizzata. Nel corso degli ultimi dieci anni, la percentuale di donne impiegate nel settore privato non agricolo è aumentata in modo marginale. È questo quanto emerge dal convegno che si è svolto a Palazzo Wedekind, il quale ha analizzato i divari di genere nel mercato del lavoro e nel sistema previdenziale, facendo riferimento ai dati in possesso dell’INPS. Il tasso di femminilizzazione, calcolato come la percentuale di donne lavoratrici rispetto al totale degli occupati, è passato dal 40,6% nel 2010 al 41,7% nel 2022. Inoltre, le donne continuano a trovare impiego in un range limitato di occupazioni rispetto ai loro colleghi uomini (segregazione occupazionale di tipo orizzontale). Sono concentrate in alcuni comparti del settore dei servizi (nel 2022 il tasso di femminilizzazione è di circa il 79% nella sanità 77% nell’istruzione, 53% negli alloggi/ristorazione) e sono invece sottorappresentate nel settore manifatturiero (30% circa).

Scarsa presenza femminile

Ciò si accompagna ad una scarsa presenza femminile nelle posizioni apicali e maggiormente remunerative. Nel 2022 solo il 21% dei quadri e dei dirigenti è di sesso femminile, questa percentuale era 13% nel 2010. L’analisi dei dati relativi ai rapporti di lavoro subordinato nel settore privato extra-agricolo mostra una netta disparità salariale a sfavore delle donne lungo tutto l’arco temporale considerato. Il vantaggio retributivo maschile nei redditi annuali è di circa il 40% (senza grandi variazioni negli ultimi 10 anni), mentre scende a circa il 30% per le retribuzioni giornaliere. Tale divario è, almeno in parte, il frutto di differenze che si esplicano su diversi piani (individuale, contrattuale, settoriale, di impresa, ecc.).

Salari più bassi

Le donne oltre ad essere sovra-rappresentate in settori che pagano salari più bassi ed essere poco presenti nelle posizioni di vertice, tendono a lavorare per un numero minore di giorni (nel 2022, nel settore privato i giorni retribuiti sono in media 221 per le donne e 234 per gli uomini) e sono spesso assunte con contatti part-time (l’incidenza del part-time sfiora il 50% tra le donne e in molte regioni del Sud supera il 60%). Quando si comparano donne e uomini con stesse caratteristiche individuali e occupazionali e che lavorano all’interno della stessa impresa il gap nelle retribuzioni annuali è pari a circa il 12% e a circa il 10% nelle retribuzioni giornaliere. Questo gap non è spiegato da differenti condizioni individuali e lavorative a noi osservabili. Questi divari, anche se meno marcati, si presentano anche nel settore pubblico dove 2/3 dei lavoratori sono donne. In maniera del tutto simile a quanto avviene nel privato, si denota una forte segregazione settoriale.

Scuola e sanità

Nella Scuola (il comparto nel quale lavora 1/3 circa di tutti dipendenti pubblici), le donne rappresentano quasi l’80% di tutto il personale; anche la Sanità è un comparto ad alto tasso di femminilizzazione (65% nel 2014 e quasi il 70% nel 2021); mentre, al contrario, nel comparto delle Forze Armate, Corpi di Polizia e Vigili del Fuoco il rapporto si capovolge completamente e gli uomini rappresentano circa il 90% del personale in servizio. Negli altri comparti si registra un sostanziale equilibrio. L’analisi delle retribuzioni annue e giornaliere evidenzia la presenza di un vantaggio retributivo maschile anche nel comparto pubblico, sebbene più modesto di quello rilevato nel privato. Il gap grezzo (senza controllare per caratteristiche individuali e lavorative) è di circa il 16%, mentre il gap a parità di caratteristiche individuali e occupazionali è di circa il 6%. La minore distanza tra queste due misure di gap salariale rispetto al settore privato dipende dal fatto che le donne e gli uomini occupati nel settore pubblico esibiscono condizioni contrattuali più simili. Ad esempio, il gender gap nell’uso dei contratti part-time è di soli 3 punti percentuali contro i quasi 30 del settore privato. I dati sull’uso dei congedi parentali nell’ultimo decennio rivelano che le richieste di congedo da parte delle madri coprono oltre l’80% del volume totale e che il gap di richieste per genere è particolarmente ampio fino ai 3 anni di età del bambino, che è proprio la fascia di età in cui si concentrano la maggior parte delle richieste (circa il 65%).

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