L’ostinazione con cui il partito di Salvini si batte per rendere possibile un terzo mandato consecutivo per i presidenti delle Regioni è inspiegabile. Combattere una battaglia destinata a sicura sconfitta si fa in genere per questioni di principio, quando sono in ballo valori non negoziabili. Non pare sia questo il caso.
L’argomento usato è piuttosto debole: “Se uno ha ben governato perché dovrebbe smettere?” Se passasse questo principio ci potrebbero essere governanti a vita. Il che è palesemente in contrasto con l’esigenza base della democrazia che è quella di evitare cristallizzazioni di potere e di consentire un ricambio di classi dirigenti.
Negli incarichi basati sulla elezione diretta sono previsti sempre dei limiti di mandato, in genere due. Vale per il presidente degli Stati Uniti, per il capo dello Stato francese. E varrà anche per il premier italiano, se e quando, la riforma costituzionale del destra-centro dovesse essere approvata e superare il vaglio del quasi certo referendum confermativo.
Non si capisce perché i presidenti delle Regioni dovrebbero costituire un’ eccezione.
Per coerenza con la riforma costituzionale che la Lega non sembra voler contestare, Salvini dovrebbe quindi evitare di insistere sul terzo mandato.
Ovviamente ha un problema con il Presidente della Regione Veneto: se non potesse contare sul terzo mandato, Luca Zaia sarebbe incentivato a candidarsi alle elezioni europee costituendo quindi un potenziale rischio per il prestigio e la poltrona del capo del Carroccio. Zaia candidato nel Nordest farebbe una buona incetta di voti e potrebbe mettere sul piatto della bilancia della Lega un riconosciuto successo personale suffragato da una larga messe di voti. Tutto ciò potrebbe costituire un potenziale rischio per la segreteria Salvini che non gode di ottima salute e che alle prossime elezioni europee non si presenta in gran forma.
Nonostante i tanti tentativi di “infastidire” Meloni e di conquistare spazi di qua e di là nell’area della maggioranza, Salvini per ora non riesce ad avvicinarsi al 10% considerata la soglia psicologica minima indispensabile per poter contare di più nella coalizione. Ameno di imprevedibili sorprese, il voto sull’emendamento sul terzo mandato rischia dunque di segnare una sonora sconfitta per Salvini. Di cui proprio dovrebbe fare a meno per tentare di risollevare la sua incerta leadership.