Il Presidente israeliano Benjamin Netanyahu ha chiesto, e ottenuto con voto unanime, al suo Governo di respingere “ogni tentativo di imporre a Israele in maniera unilaterale uno Stato palestinese.” La risoluzione approvata sostiene inoltre che Israele “rifiuta categoricamente diktat internazionali circa un accordo permanente con i palestinesi” e che “un accordo, se raggiunto, arriverà solo con negoziati diretti tra le parti, senza precondizioni.” Uno stato ai palestinesi sarebbe “un regalo al terrorismo” inconcepibile dopo l’attacco del 7 ottobre. Se un accordo dovrà esserci questo sarà soltanto il frutto di “trattative bilaterali”. Il riferimento, neppure troppo velato, è alla trattativa in corso in Egitto con anche Qatar e Stati Uniti impegnati a trovare una prospettiva per il cessate il fuoco, ma anche per il futuro. La decisione ha immediatamente attivato i mediatori egiziani che avrebbero contattato il ministro del Gabinetto di guerra israeliano Benny Gantz, cosa che ha irritato il premier e, probabilmente, rimandato ancora le negoziazioni. Netanyahu, tra l’altro, si è scagliato anche contro il Presidente del Brasile Lula che avrebbe detto “parole vergognose e gravi” perché aveva parlato di “genocidio” nella Striscia di Gaza. Secondo il premier israeliano “paragonare Israele all’Olocausto nazista e a Hitler significa superare una linea rossa” perché “Israele combatte per la sua difesa e per garantire il suo futuro fino alla vittoria completa e lo fa rispettando il diritto internazionale.”
Prima dell’offensiva a Sud
Parole, più o meno pesanti, di cui non capisce fino in fondo la necessità se da, ormai, quattro mesi continuano operazioni militari che stanno producendo migliaia di morti e milioni di disperati. I soldati israeliani sono impegnati soprattutto nel centro e sud della Striscia, a Khan Yunis particolarmente anche all’interno dell’ospedale Nasser, che si è rivelato un covo di terroristi, e dove sono state “localizzate larghe quantità di armi nell’area”. Secondo quanto dichiara l’Oms ci sono ancora 200 pazienti ricoverati, ma non è permesso alle organizzazioni umanitarie il via vai libero. Anche l’ospedale al-Amal è presidiato dall’esercito israeliano. Da quando è iniziata la risposta all’attacco di Hamas, ospedali, chiese, scuole si sono rivelate tutte strutture mimetiche per occultare covi e tunnel ad uso dei miliziani. Il presidente della Mezzaluna Rossa, Younis Al Khatib si è detto preoccupato per gli sfollati che si trovano nella regione: “la situazione a Rafah è ingestibile. Se Israele attaccherà, nessuno potrà impedire agli sfollati di muoversi in tutte le direzioni, anche in Egitto.” Ma “l’Egitto non permetterà a nessuno di attraversare il confine” ha detto il ministro Shtayyeh: “non vogliamo questo”, ha aggiunto, “dovrebbe essere loro permesso di tornare a casa.”
L’Iran modera gli alleati
Sull’altro fronte l’Iran esorta gli Hezbollah libanesi e altri gruppi armati a dare prova di moderazione di fronte alle forze statunitensi. E per la nuova ’direttiva’ ha inviato comandanti militari e diplomatici in tutto il Medio Oriente a parlare con funzionari locali e milizie. Lo rivelail Washington Post citando fonti nella regione, pur sottolineando che più andrà avanti la guerra a Gaza più potrebbe diventare difficile per l’Iran e gli Stati Uniti evitare l’escalation. L’Iran non è nelle condizioni di entrare direttamente in guerra e sta cercando di“affrontare la prova più significativa della sua capacità di esercitare influenza sulle milizie alleate”, sui suoi proxy nella regione. E questo potrebbe valere anche per i ribelli Houthi, contro i quali oggi l’Unione europea avvia la missione (Aspides) di contenimento per tutelare le rotte del mar Rosso. Secondo quanto riferito da fonti libanesi e irachene al quotidiano americano, “in privato” i leader sollecitano cautela nonostante le dichiarazioni pubbliche seguite alle operazioni delle forze Usa contro obiettivi di gruppi sostenuti dall’Iran in Yemen, Siria e Iraq.