venerdì, 15 Novembre, 2024
Società

Netanyahu insiste: entreremo a Rafah. Biden: garantire la popolazione civile

Prima telefonata dal 19 gennaio. Famiglie degli ostaggi denunciano crimini di Hamas all’Aja

Si è arrivati vicino alla rottura tra il Presidente Biden e il premier Netanyahu, ma poi i due leader si sono chiariti, in una lunga telefonata. Ieri diverse fonti avevano sottolineato una forte “frustrazione” da parte degli Presidente degli Stati Uniti nei confronti del leader israeliano che ha annunciato un’offensiva su Rafah, in un’area dove sono stati spinti un milione di rifugiati. Biden ha ribadito l’obiettivo “comune di vedere Hamas sconfitto e di garantire la sicurezza a lungo termine di Israele e del suo popolo”, ha ufficialmente riferito la Casa Bianca in una nota. Gli Stati Uniti ritengono che “un’operazione militare a Rafah non dovrebbe procedere senza un piano credibile ed eseguibile per garantire la sicurezza e il sostegno a più di un milione di persone che vi si rifugiano.” Biden e Netanyahu hanno inoltre discusso degli sforzi in corso per garantire il rilascio di tutti gli ostaggi ancora detenuti da Hamas, ma il Presidente americano ha sottolineato “la necessità di sfruttare i progressi compiuti nei negoziati per garantire il rilascio di tutti gli ostaggi il prima possibile” e ha inoltre chiesto a Israele “misure urgenti e specifiche per aumentare il flusso e la consistenza dell’assistenza umanitaria ai civili palestinesi innocenti.”

Netanyahu: vittoria vicina

Netanyahu, dal canto suo, ha continuato a muoversi a tutto campo per difendere la scelta di continuare l’operazione militare nella Striscia di Gaza. In un’intervista alla Abc americana aveva appena dichiarato di aver molto apprezzato il Presidente Biden per il sostegno, ma di non aver capito cosa volesse dire quando ha parlato di “reazione esagerata.” Netanyahu si è anche detto sicuro che se gli Stati Uniti avessero subito un attacco come quello del 7 ottobre, poi paragonato a quello dell’11 settembre 2021 alle torri gemelle, la loro risposta “sarebbe stata almeno forte come la risposta di Israele.” “Coloro che dicono che in nessun caso dovremmo entrare a Rafah – ha spiegato il premier israeliano parlando alla base di unità di ingegneria speciale Yahalom a Julis – ci stanno sostanzialmente dicendo di perdere la guerra. Tenete Hamas lì.” “Vinceremo”, ha invece aggiunto, “la vittoria è a portata di mano.” Dove per vittoria si dovrà intendere l’eradicazione di Hamas e “il controllo di Gaza per la sicurezza di Israele.” Il ministro della Difesa Yoav Gallant è stato ancora più esplicito: “siamo entrati nei luoghi più sensibili di Hamas e stiamo usando le loro informazioni contro di loro. Stiamo usando le loro armi e le facciamo saltare in aria sul campo, tutte queste cose sono il risultato del nostro approfondimento e del nostro ingresso nel cuore delle capacità di Hamas”, ha detto Gallant, “più approfondiamo questa attività e più ci avviciniamo a un accordo realistico per la restituzione degli ostaggi.”

Hamas: così saltano i colloqui

L’organizzazione islamista avverte che un’azione di terra a Rafah potrebbe far “saltare i colloqui per lo scambio” dei prigionieri e per il cessate il fuoco, in corso in Egitto. “Netanyahu vuole che la guerra continui per restare al potere e non perdere la sua coalizione di destra. Vuole continuare a combattere fino alle elezioni americane di novembre affinché Trump vinca”, dice Mohammed Nizal, uno dei leader di Hamas. Ma “ciò che Netanyahu e il suo esercito nazista non hanno ottenuto in più di quattro mesi, non lo realizzeranno, non importa quanto durerà la guerra.” Ieri il Presidente dell’Autorità Palestinese Mahmoud Abbas è arrivato a Doha per colloqui con l’emiro del Qatar, il cui paese è stato al centro degli sforzi di mediazione tra Hamas e Israele. Questo mentre il corrispondente di Al Jazeera Ismail al-Ghoul ha raccontato del recupero di circa 100 corpi di palestinesi dai quartieri Tal al-Hawa e al-Rimal a Gaza City, dopo che le forze israeliane si erano ritirate da quelle aree.

Preoccupazione dall’Europa

Oltre agli Stati Uniti anche gli alleati europei di Israele continuano a esprimere preoccupazione per il protrarsi delle operazioni militari. “Mi associo all’avvertimento di diversi Stati membri dell’Ue secondo cui un’offensiva israeliana su Rafah porterebbe a un’indescrivibilecatastrofe umanitaria e a gravi tensioni con l’Egitto”, di cui la città è al confine, ha scritto sui social l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera, Josep Borrell. Anche il ministro degli Esteri britannico, l’ex premier David Cameron, si dice “profondamente preoccupato per la prospettiva di un’offensiva militare a Rafah, con oltre la metà della popolazione della Striscia di Gaza che si sta rifugiando nella zona.” Preoccupazione anche dal ministero degli Esteri francese, Christophe Lemoine: “un’offensiva israeliana su larga scala a Rafah creerebbe una situazione umanitaria catastrofica.”

Iran: espellere Israele dall’Onu

Ieri ricorreva il 45esimo anniversario della rivoluzione islamica in Iran. Il Presidente Ebrahim Raisi, in un intervento pubblico, ha chiesto di espellere Israele dall’Onu per i “crimini” commessi nella Striscia di Gaza: “la nostra proposta – ha detto – è quella di espellere il regime sionista dalle Nazioni Unite perché ha violato molte risoluzioni, leggi e patti internazionali.” Raisi ha anche aggiunto che Israele è il “problema principale dell’umanità.” In Marocco, invece, migliaia di cittadini sono scesi in piazza per chiedere la fine dei legami tra il Marocco e Israele.

Famiglie ostaggi: denuncia all’Aja

Le famiglie degli ostaggi israeliani si rivolgono alla Corte di Giustizia dell’Aja per denucniare Hamas ritenuta colpevole di “rapimento, crimini sessuali violenti, e torture.” Lo ha scritto il quotidiano Yedioth Ahronot secondo cui circa 100 rappresentanti delle famiglie degli ostaggi andranno all’Aja accompagnati da avvocati di Israele e di tutto il mondo.

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