venerdì, 15 Novembre, 2024
Politica

Questione di leadership

Le democrazie pluraliste funzionano se i partiti riescono a veicolare la domanda di partecipazione dei cittadini. Ma i partiti devono essere anche ben guidati. Da qui l’importanza che ai loro vertici ci siano leader all’altezza. Non è un compito facile. Anche perché ogni capo-partito, al di là delle sue capacità, deve sempre fare i conti con la storia della formazione politica che guida.

Ad esempio, Antonio Tajani è sicuramente un leader di qualità. Ma sul suo operato grava il ricordo ingombrante di un personaggio come Berlusconi, scomparso solo da 7 mesi. Un’eredità di non facile gestione.

Per Matteo Salvini l’ombra del fondatore Umberto Bossi non pesa più . È’ alla guida del Carroccio da 10 anni. All’inizio del suo mandato ha impresso una svolta significativa ma da 5 anni la sua leadership sembra oscillante se non in declino. Non gli giovano il movimentismo sfrenato, l’eccessiva e non ben calibrata presenza sui social, interventi a raffica su temi di ogni genere, l’immagine di nervosismo e instabilità. Il partito formalmente lo segue ma sono evidenti le divergenze sostanziali dalla sua linea.

Elly Schlein appare una leader in cerca di identità. Ha come attenuante il fatto di essere da solo un anno alla guida di un partito pieno di repubbliche autonome e di anime difficilmente conciliabili. Ma non riesce a spiccare il volo e a sfoderare capacità di elaborazione e di autorevolezza, condizioni indispensabili per provare a guidare il Pd.

Quanto a Matteo Renzi è presto detto. È un leader solitario, capace di imprevedibili manovre tattiche di cui non parla con nessuno, ma per niente propenso al paziente lavoro di maturazione del consenso nel partito che guida. C’è lui e poi il nulla. Ma questo è un grave limite per un capo.

Carlo Calenda sta ricostruendo una sua nuova forma di leadership. Non ha i guizzi tattici di Renzi ma è un grande elaboratore di programmi concreti. Sembra aver imparato dai suoi errori comunicativi del recente passato e pare più attento anche a valorizzare altre persone nel suo partito.

Gli unici due che oggi possono vantare una leadership forte e indiscussa sono Meloni e Conte. Giorgia Meloni dal 2014 ha il controllo assoluto di FdI non solo per la sequenza di successi elettorali ma anche per l’abilità e l’autorevolezza che dimostra nel saper gestire temi nuovi rispetto dalla storia del suo partito. Giuseppe Conte è stato, probabilmente, il più abile di tutti. Ha messo fuori gioco i suoi concorrenti. Entrato come un ospite nel M5S ha offuscato Grillo, Di Maio Di Battista e tutta la vecchia guardia. È saldo al comando anche perché è in perfetta sintonia con lo zoccolo duro del M5S di cui ha capito gli umori e a cui dà quello che quel 15% si aspetta.

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