domenica, 22 Dicembre, 2024
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Gestione carceraria in Italia: numeri, riflessioni e impegni per il 2024

Con l’annuo nuovo si sono rinnovati i buoni propositi, come buona parte delle promesse elettorali, che non risolvono i vecchi problemi ma, anzi, si rinnovano e si ripropongono insoluti.
Alcune riflessioni di inizio anno sulla galassia carceraria le cui problematiche, invece di essere risolte, si aggravano di anno in anno, è opportuno però condividerle.
Ma incominciamo con esporre i numeri necessari poi ad articolare alcune riflessioni di natura politica.
Al 31 dicembre 2023 i detenuti presenti nei 189 istituti di pena distribuiti sul territorio nazionale erano 60.166, numero nel quale sono anche compresi i detenuti presenti in semilibertà che rappresentano circa il 2% della popolazione carceraria.
Le donne rappresentano una modesta percentuale in quanto sono, sempre al 31 dicembre 2023, “solo” 2.541.
L’anno prima i detenuti erano invece 56.196 e, dunque, non ci si può sottrarre dall’evidenziare che l’aumento delle presenze è stato del 7%, percentuale certamente rilevante se si somma agli atavici problemi del pianeta giustizia.

Una riflessione

La capienza degli istituti di pena è di 51.179 posti ed una prima riflessione si pone.
Lo stesso Ministero della Giustizia opportunamente chiarisce a margine delle proprie statistiche che i posti sono calcolati attribuendo una superficie di 9 mq per singolo detenuto, la stessa per cui in Italia viene concessa l’abitabilità alle civili abitazioni. A tal proposito giova evidenziare che il CTP, ovvero il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, ha indicato una superficie per singolo detenuto di 6 mq. Come farsi male da soli, considerando che l’Italia si barcamena tra le periodiche sanzioni per il sovraffollamento carcerario e gli altrettanto periodici decreti “svuota carceri” con buona pace per un principio che dovrebbe essere sacrosanto, ovvero quello della certezza della pena.
Ovviamente il maggior sovra affollamento viene registrato nelle carceri di città capoluogo soprattutto dove la criminalità è radicata in forme organizzate o dove vi è un tessuto economico florido.
Ad esempio, nota “folkloristica, la Valle d’Aosta ospita un solo istituto di pena con una capienza regolamentare di 181 posti ma ospitava, sempre al 31 dicembre 2023, “solo” 132 detenuti.
La Lombardia invece, in 18 istituti di pena ospitava 8.722 detenuti a fronte di una capienza di 6.149 posti, la Campania 7.330 su 6.171 posti e la Puglia 4.420 detenuti su 2.912 posti.
Un altro dato merita attenzione, ovvero la presenza di cittadini stranieri all’interno delle carceri pari, sempre al 31 dicembre 2023, a 17.683 detenuti, quasi un terzo della popolazione detenuta.
A guidare questa poco invidiabile statistica, vi è il Marocco con 3.950 detenuti che distanzia non di poco la Romania con 2.122 detenuti, questa seguita a ruota dall’Albania con 1.958, tallonata dalla Tunisia con 1952.
E su questa “top four” della criminalità una doverosa considerazione non può non essere fatta.
Ogni detenuto costa alle casse dello Stato, circa 137 euro al giorno per una spesa complessiva di quasi tre miliardi di euro l’anno.
E non può non apparire incomprensibile come, anche in presenza di accordi bilaterali, i detenuti stranieri continuino a scontare le loro pene nel “bel Paese” ma l’arcano facilmente si spiega se solo si pensa che il trasferimento presso istituti di pena del proprio paese è subordinato all’assenso del condannato come recita la Convenzione del Consiglio d’Europa firmata a Strasburgo il 21 marzo 1983 il cui contenuto, a distanza di quarant’anni, forse merita qualche riflessione.

L’impegno di Nordio

Di recente però, il Ministro Carlo Nordio con il suo omologo albanese ha assunto un impegno per certi aspetti rivoluzionario che produrrà il trasferimento, presso gli istituti di pena del Paese d’origine, dei quasi duemila detenuti albanesi ad oggi ospiti nelle carceri italiane.
Per Donato Capece, segretario nazionale del SAPPE, il Sindacato di Polizia Penitenziaria, è certamente “un impegno importante, che permetterà di ridurre le spese per il mantenimento dei detenuti e di iniziare a deflazionare il sovraffollamento delle carceri e migliore le condizioni di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria. Da tempo il SAPPE denuncia la correlazione tra aumento degli eventi critici nelle carceri e presenza di detenuti stranieri”.
Ora si auspica un analogo impegno nei confronti di Paesi che hanno un alto numero di loro connazionali tra i detenuti in Italia, ovvero Romania, Marocco, Nigeria e Tunisia
Peraltro, l’unione Europea intrattiene relazioni bilaterali con Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Autorità palestinese e Tunisia.

Culla del diritto

Da ultimo, ma non certo per importanza, doveroso segnalare che erano (nd. 31 dicembre 2023) ben 9.259 i detenuti in attesa di primo giudizio e 6385 i condannati non definitivi.
Nella terra che dovrebbe essere la “culla del diritto” non può che stridere il dato relativo a circa un quarto dei detenuti ristretti in carcere senza una condanna passata in giudicato.
Non solo, ogni giorno tre in Italia tre persone vengono arrestate senza che poi a carico loro venga emessa una sentenza di condanna.
Dal 1991 al 2022 i casi di errori giudiziari hanno coinvolto l’incredibile numero di 30mila persone, parte delle quali hanno richiesto un risarcimento che pesa anche sulle casse dello Stato – e, dunque, di tutti noi – tra indennizzi e risarcimenti, a quasi un miliardo di euro.
Un ultimo dato per tipologia di reato riguarda invece le persone ristrette per reati collegati alla legislazione sulla droga che sono ben 20.566, la stragrande maggioranza verosimilmente detenuta per reati legati al piccolo spaccio modesti reati connessi.
Probabilmente, un sistema socio-sanitario maggiormente incisivo nei confronti del mondo della tossicodipendenza, potrebbe risultare un fattore determinante per la diminuzione dei reati – e, dunque, delle condanne! – legati a questo mondo.
A ben vedere i momenti di discussione e confronto sono molteplici e costituiscono un qualificato banco di prova al quale la classe politiche non può sottrarsi.

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