In un caso senza precedenti, un uomo di trent’anni originario della provincia settentrionale di Chiang Rai, Mongkol “Busbas” Thirakot, è al centro di una controversia che pone in discussione la libertà di espressione nel Regno di Thailandia. Mongkol, un venditore di abbigliamento online, rischia una condanna senza precedenti di 50 anni di carcere per i suoi post sui social media considerati critici nei confronti della famiglia reale. La vicenda ha avuto inizio nell’aprile del 2021, quando Mongkol è stato arrestato per la prima volta. Lo scorso gennaio, un tribunale penale lo ha condannato a 28 anni di carcere per 14 violazioni di lesa maestà, in base all’articolo 112 della legge thailandese che protegge il re Maha Vajiralongkorn e i suoi parenti stretti dalle critiche. Tuttavia, la storia di Mongkol ha preso una svolta ancora più drammatica quando una corte d’appello ha confermato la condanna iniziale e aggiunto ulteriori 11 violazioni, portando la sua pena potenziale a 50 anni di reclusione.
La legge di lesa maestà della Thailandia è considerata una delle più severe al mondo e prevede una pena detentiva fino a 15 anni per ogni violazione percepita. Gli attivisti per i diritti umani e gruppi internazionali hanno condannato questa legge come estrema e contraria ai principi fondamentali della libertà di espressione.
Appello alla Corte Suprema
L’avvocato di Mongkol, Theeraphon Khoomsap, ha dichiarato che il suo assistito nega ogni illecito e che presenterà un appello alla Corte Suprema contro la sentenza. La difesa sostiene che la legge è stata applicata in modo eccessivo e che le critiche legittime dovrebbero essere permesse in una società democratica.
Questa non è la prima volta che la Thailandia è al centro delle polemiche per le condanne legate all’articolo 112. Nel 2021, Anchan Preelert, un ex funzionario pubblico, è stato condannato a 87 anni di carcere per 29 capi di imputazione di insulto reale, stabilendo un nuovo record per la condanna di lesa maestà. Tuttavia, la sua pena è stata successivamente ridotta a 43 anni dopo che l’uomo ammise le sue violazioni.