lunedì, 16 Dicembre, 2024
Politica

Nazionalizzazioni, privatizzazioni… ma la politica industriale non c’è

Che fine farà l’impianto siderurgico di Taranto? Quanto ci è costato il risanamento-rilancio-salvataggio di Alitalia? Quanto è stato vantaggioso per l’Italia l’intero processo di privatizzazioni avviato 30 anni fa? Domande che dovrebbero occupare il dibattito politico e le prime pagine dei giornali molto più dei retroscena, dei pettegolezzi politici e del piccolo cabotaggio quotidiano. Perché le risposte sono raccapriccianti e dovrebbero costringere a riflettere sui numerosi errori del passato. Una riflessione necessaria quando il Governo si accinge ad avviare una nuova fase di privatizzazioni e nello stesso tempo sarà costretto molto probabilmente a nazionalizzare l’ex-Ilva per evitarne di fatto la chiusura.

La vicenda di Taranto ha del paradossale. Perchè quando Arcelor Mittal nel maggio 2018 aveva vinto la gara, era disposta a investire 4,2 miliardi per pagare i creditori, effettuare investimenti ambientali e industriali e dare allo Stato 800milioni. L’accordo che garantiva il mantenimento dell’occupazione era blindato ma fu alterato dall’intervento improvvido del governo Conte che fece saltare lo scudo penale per Mittal, quello scudo che invece era stato garantito agli amministratori straordinari nominati dal Governo. Questa marcia indietro imposta dal Movimento 5Stelle si è dimostrata disastrosa. Volarono le carte bollate alla fine si raggiunse un accordo che dava alla società franco-indiana la maggioranza e il diritto di nominare l’amministratore delegato senza prevedere gli impegni rigidi del primo accordo. Da allora il destino dell’impianto è andato sempre declinando fino alla crisi finanziaria di oggi culminata in un ennesimo braccio di ferro tra lo Stato, tramite Invitalia, e gli azionisti di maggioranza. Speriamo che non finisca come sostiene Calenda, cioè con una chiusura a puntate del colosso. Sarebbe l’ennesimo smacco per il nostro Paese. Che non ha mai avuto e ancora oggi non ha una politica industriale, una visione di cosa fare per i suoi settori di punta, per quelli strategici, per quelli in crisi. Si naviga a vista, giorno dopo giorno, si cerca di fare cassa vendendo o svendendo gioielli di famiglia (ne sono rimasti pochi) non si proteggono i campioni nazionali, non si incentiva la creazione di colossi di settore (vedi quello che è successo per i grandi marchi della moda). Questo Governo non ha responsabilità per gli errori commessi in passato. Ma proprio per questo Giorgia Meloni farebbe bene ad adottare una politica industriale organica, da definire col contributo di esperti ed eccellenze dei settori. E’ una scelta che non si può più rinviare.

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