La risoluzione Onu, approvata venerdì, non piace a nessuno. È stata subito definita “sdentata” dalla Russia, ritenuta troppo debole dagli organizzazioni umanitarie e “tardiva e inadeguata” dalla Lega araba e “inutile” da Israele. Non include la tregua, non affronta il cessate il fuoco e si limita a chiedere di favorire gli aiuti umanitari, che faticano ad arrivare ai singoli abitanti della Striscia di Gaza. Intanto l’Iran, che sostiene i ribelli yemeniti dediti a incursioni a navi israeliane nel mar Rosso, ora minaccia di chiudere il Mediterraneo se non cesseranno gli attacchi israeliani nella Striscia. Gli Stati Uniti e i loro alleati “hanno perso la faccia” dopo aver “sfacciatamente posto il veto alla risoluzione” del consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, ha detto la guida suprema della Repubblica islamica Ali Khamenei. Intanto la guerra continua e l’elemosiniere di Papa Francesco in Terra Santa ha detto: “mi hanno raccontato l’inferno a Gaza.”
Iran supporta gli Houthi
Risoluzione e parole che non bastano a fermare la guerra. Israele ritiene che è partito dall’Iran il drone che ieri ha attaccato al largo delle coste indiane una nave cisterna adibita al trasporto di prodotti chimici battente bandiera liberiana. I Guardiani della Rivoluzione dell’Iran hanno anche minacciato di chiudere lo Stretto di Gibilterra e l’accesso al Mediterraneo in risposta ai “crimini” commessi dagli Stati Uniti e Israele a Gaza. “Questa non è solo retorica. Si aspettino presto la chiusura del Mar Mediterraneo, dello Stretto di Gibilterra e di altre vie d’acqua”, ha affermato il generale di brigata Mohammad Reza Naqdi. Per gli Stati Uniti l’Iran è stato “profondamente coinvolto” nella pianificazione degli attacchi dei ribelli Houthi dello Yemen contro le navi commerciali nel Mar Rosso, fornendo armi e “intelligence tattica” per consentire gli attacchi lungo un corridoio marittimo critico. Ilportavoce del Consiglio di Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, Adrienne Watson ha affermato che “gli Houthi farebbero fatica a rintracciare e colpire efficacemente le navi commerciali. Il sostegno iraniano a queste operazioni Houthi rimane fondamentale”, ha affermato.
Gheit: risoluzione inadeguata
Nella realtà i fronti sono tutti aperti perché si combatte dentro la Striscia, si combatte ai confini con il Libano, in Cisgiordania e nel mar Rosso. Anche il segretario generale della Lega araba, Ahmed Abul Gheit, ha criticato come “tardiva e inadeguata” la risoluzione delle Nazioni Unite ritenendola soltanto “un tentativo di prevenire la carestia nella Striscia e di salvare gli esseri umani, soprattutto donne e bambini, da una situazione catastrofica, ma non è sufficiente per fermare la macchina aggressiva israeliana, soprattutto perché non prevede un cessate il fuoco.” Generalmente anche tutte le organizzazioni umanitarie chiedono il cessate il fuoco perché altrimenti non riescono a portare gli aiuti quando e dove servono. Nonostante, anche ieri, siano passati per i valichi aperti decine di camion.
Ucciso Atrash
Arrestate mille persone L’esercito israeliano e lo Shin Bet hanno fatto sapere di aver ucciso Hassan Atrash, responsabile del commercio, della manifattura e del contrabbando delle armi per Hamas. L’uomo era coinvolto nel contrabbando da vari Paesi per l’enclave palestinese ed aveva avuto un ruolo anche nel rifornimento di armi in Cisgiordania. Nell’ultima settimana i soldati israeliani hanno arrestato nella Striscia di Gaza oltre 200 militanti di Hamas e della Jihad islamica, mentre oltre 700 persone sospette sono state inviate nelle carceri israeliane.
Intere famiglie sterminate
E’ in corso una guerra spietata nella quale si sono anche nuovamente interrotti i negoziati per la liberazione degli ostaggi civili. Hamas sostiene di aver perso i contatti con il gruppo che teneva in ostaggio cinque israeliani dopo un bombardamento dell’esercito dello Stato ebraico. Secondo il comunicato diffuso da Hamas, si ritiene che il gruppo e gli ostaggi siano stati uccisi in un raid israeliano. Ieri si è avuta notizia anche della morte di settantasei persone, tutte membri di una famiglia allargata: sono rimaste uccise in un attacco aereo israeliano. Nel mondo arabo le famiglie allargate sono molto diffuse. Stando a quanto riferito da Mahmoud Bassal, portavoce del dipartimento di Protezione civile di Gaza, anche l’attacco contro un edificio a Gaza City è stato tra i più “sanguinosi” del conflitto tra Israele e Hamas, giunto ormai alla dodicesima settimana. Bassal ha fornito un elenco parziale dei nomi delle persone uccise e tra loro figurano, oltre a donne e bambini, Issam al-Mughrabi, impiegato del Programma di sviluppo delle Nazioni Unite, sua moglie e i loro cinque figli. Solo l’altro ieri il segretario delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, aveva avvertito nuovamente del fatto che nessun posto fosse sicuro a Gaza e che l’offensiva in corso da parte di Israele stesse creando “enormi ostacoli” alla distribuzione degli aiuti umanitari.
136 morti dell’Onu
In 75 giorni di guerra a Gaza sono rimasti uccisi 136 addetti delle Nazioni Unite, una cosa “mai vista” nella storia dell’Onu, secondo quanto dichiarato dal segretario generale, Antonio Guterres che chiama le vittime “nostri colleghi”. “Molti del nostro personale sono stati costretti ad abbandonare le loro case. Rendo omaggio a loro e alle migliaia di operatori umanitari che rischiano la vita nell’aiutare i civili a Gaza”, scrive ancora Guterres sul suo tweet. “Niente può giustificare i terribili attacchi terroristici lanciati da Hamas il 7 ottobre, o il brutale rapimento di circa 250 ostaggi”, ha aggiunto, chiedendo la liberazione degli ostaggi.
Erdan: l’Onu ha fallito
“L’attenzione delle Nazioni Unite solo sui meccanismi di aiuto per Gaza è inutile e scollegata dalla realtà. Israele, in ogni caso, permette l’ingresso di aiuti su qualsiasi scala necessaria”, ha dichiarato l’ambasciatore israeliano all’Onu, Gilad Erdan, sottolineando che “l’Onu avrebbe dovuto concentrarsi sulla crisi umanitaria degli ostaggi detenuti a Gaza”, e ha aggiunto che “i fallimenti delle Nazioni Unite negli ultimi 17 anni hanno permesso ad Hamas di scavare tunnel del terrore e di fabbricare missili e razzi. È chiaro che non ci si può fidare delle Nazioni Unite per monitorare gli aiuti in arrivo nella Striscia di Gaza”.
Ostaggi: in Usa su cartelloni pubblicitari
Nelle principali città degli Stati Uniti, quasi 250 cartelloni pubblicitari mostreranno nel periodo natalizio le foto degli ostaggi israeliani detenuti da Hamas. L’agenzia pubblicitaria governativa israeliana, Lapam, ha annunciato che si tratta di una campagna lanciata questa settimana negli Usa, intitolata “Un pugno nello stomaco” e incentrata sulla storia straziante del piccolo Kfir Bibas di 11 mesi la cui immagine campeggia già a Times Square a New York. Lo slogan della campagna: “I tuoi figli torneranno a casa per Natale?” ha lo scopo di evidenziare la situazione tragica di Kfir Bibas, un bambino israeliano dai capelli rossi prigioniero di Hamas da oltre due mesi insieme al fratellino di 4 anni e alla mamma. I due fratellini per i capelli fulvi sono affettuosamente soprannominati “The Reds”. “Questa campagna sembra a tutti noi come un pugno nello stomaco. La difficile situazione di Kfir Bibas, che urla con grida agghiaccianti, cattura una cruda emotiva verità che risuona universalmente. È una storia che trascende i confini e attira l’attenzione”, ha spiegato Moriya Shalom, direttore di Lapam.
Tornare o trasferirsi in Israele
La Compagnia Internazionale di Cristiani ed Ebrei finora ha aiutato 317 persone a realizzare l’obiettivo di trasferirsi in Israele dopo l’attacco di Hamas del 7 ottobre. Secondo il Ministero per l’Immigrazione e l’Assorbimento, dal 7 ottobre a ieri sono esattamente 2.662 le persone immigrate in Israele, di cui 1.635 dalla Russia, 218 dagli Stati Uniti, 128 dall’Ucraina, 116 dalla Francia e 106 dalla Bielorussia. I numeri sono inferiori alla media degli ultimi anni e di molto inferiori rispetto allo stesso periodo del 2022, quando arrivarono 16.400 nuovi immigrati, ma l’anno scorso la cifra fu condizionata da coloro che fuggivano dalla guerra in Ucraina.
L’inferno di Gaza
Il cardinale elemosiniere Konrad Krajewski, inviato dal papa in Terra Santa, racconta ai media vaticani la prima giornata in Terra Santa: “ho parlato con alcuni giovani scampati, una ragazza ha perso dodici familiari. Abbiamo pregato addolorati ma non senza speranza”, riporta Vatican News. Ci vuole un cuore grande per fare spazio al dolore e rivestirlo di speranza quando tutto – una casa, un affetto, una vita – hanno perso all’improvviso certezze e calore e una precarietà piena di paure è diventata la nuova normalità. Il racconto dell’inviato di Papa Francesco comincia da Betlemme dalla Basilica della Natività; un’intera giornata trascorsa nella terra dove Gesù è nato e dove si transita col contagocce e sotto stretto controllo. Krajewski ha sentito diverse testimonianze anche da chi è riuscito a fuggire da Gaza: “mi hanno raccontato l’inferno di Gaza” e con la comunità ecclesiastica “abbiamo parlato di come possiamo aumentare gli aiuti”.