Dobbiamo sicuramente ringraziare quel Magistrato emerso agli onori delle cronache per aver affermato – secondo quanto riferito dal ministro Crosetto – che fra i compiti del potere giudiziario rientrerebbe anche quello di “ riequilibrare la volontà popolare “, dichiarando così (e neanche troppo timidamente) che ove tale volontà non dovesse rispettare determinati canoni, sarà compito dei giudici assicurare il perseguimento del bene comune attraverso misure correttive non meglio specificate dall’autore di una simile dichiarazione.
Pur rimasto anonimo, dobbiamo ringraziare quel giudice perché -trent’anni dopo l’inizio delle ostilità fra magistratura e politica -ha finalmente dato voce ai presunti compiti etici che il potere giudiziario ha ritenuto di potersi legittimamente attribuire (talvolta negando di averlo fatto, talaltra sbandierandolo come inevitabile scelta), coprendolo dietro l’usbergo dell’assenza di ogni responsabilità civile per i danni che un simile modo di opinare possa creare.
Valutare il comportamento di un magistrato che sostiene come il potere giudiziario debba riequilibrare la volontà popolare – pur se espresso in una riunione della propria associazione di categoria -richiede un’analisi accurata sotto diversi aspetti, tra cui il contesto legale, quello etico e, non ultimo, il suo riflesso sul principio diseparazione dei poteri e sulle sue pratiche conseguenze.
In tutti i sistemi democratici, infatti, la separazione dei poteri è il fondamento stesso della Costituzione materiale.
Secondo questo modello, Il potere giudiziario è incaricato di interpretare e applicare la legge, non di riequilibrare la volontà popolare, perché quella funzione è generalmente riservata al potere legislativo, che rappresenta, per delega, il popolo: un’affermazione del genere da parte di un magistrato potrebbe dunque sollevare preoccupazioni, almeno rispetto alla sua capacità di comprendere il proprio ruolo all’interno di un sistema che si vuole democratico.
Lo stesso modello è però essenzialmente teorico: basti ricordare quanto avvenuto a proposito della disapplicazione degli atti normativi afferenti il fermo dei migranti clandestini per comprendere come, nella pratica, il comportamento di alcuni magistrati si muova – e non da oggi – attraverso un uso creativo delle potestà che la legge conferisce loro.
Ma chi è “la legge” se non la principale manifestazione di quello stesso potere politico che taluni magistrati vogliono (e non da oggi) “riequilibrare“?
Tutti sono d’accordo nel sostenere come un principio chiave che giustifichi il grande potere dei magistrati consisterebbe appunto nella loro imparzialità. Affermare di voler riequilibrare la volontà popolare potrebbe – al contrario – essere interpretato come segno di pregiudizio o di un’agenda politica redatta da un potere sviato, minando la percezione della loro imparzialità e indipendenza. Ciò potrebbe avere ripercussioni sulla fiducia del pubblico nello stessosistema giudiziario: la progressiva caduta nel “gradimento” nell’uso della giurisdizione è la miglior prova di quanto appena affermato.
Per far risalire la china al potere giudiziario nell’immaginario collettivo, un ruolo fondamentale potrebbe essere attribuito all’Associazione Nazionale Magistrati e alle sue “correnti”, queste ultime spesso fungono da forum per la discussione di questioni legali e politiche.
Tuttavia, i commenti fatti in tali contesti dovrebbero rispettare i principi fondamentali della deontologia giudiziaria.
È importante valutare se le affermazioni di cui qui ci occupiamo siano state fatte in un contesto di dibattito intellettuale o se riflettano un’effettiva intenzione di influenzare le decisioni e le misure da assumere, modificandole a seconda dei soggetti verso i quali il potere giudiziario vuol dirigersi.
Anziché continuare a polemizzare, dunque, potrebbe essere utile mutare approccio, per esaminare come simili affermazioni sarebbero valutate in altri sistemi giudiziari, soprattutto quelli che si muovono in differenti contesti legali. Questo potrebbe fornire una più utile prospettiva per valutare il nostro sistema rispetto alle norme internazionali, almeno con riferimento al ruolo e ai doveri dei magistrati.
In altre parole, un’analisi del comportamento di un magistrato che faccia tali affermazioni richiede un equilibrio tra il rispetto della libertà di espressione e la necessità di mantenere la fiducia nel sistema giudiziario, assicurando che tutti i giudici aderiscano ai principi di imparzialità e indipendenza, tenendo innanzitutto presente che la libertà di espressione di cui ciascuno di noi gode trova un limite invalicabile nel potere di cui egli stesso è investito.