Silvio Orlando diventa Momò, un ragazzino arabo ne “La vita davanti a sé”, in scena fino al 3 dicembre all’Ambra Jovinelli. Atto unico tratto dall’omonimo romanzo pubblicato nel 1975 dallo scrittore francese Romain Gary, scritto sotto lo pseudonimo di Émile Ajar e l’adattamento cinematografico nel 2020 interpretato magistralmente da Sophia Loren. Siamo nel quartiere Belleville, nella Parigi multietnica ed emarginata.
La storia è raccontata in prima persona da Momò che come tanti altri “figli di puttana” -così lui stesso si definisce- vive nella casa rifugio di Madame Rosa, una ex prostituta ebrea ormai anziana sopravvissuta ad Auschwitz, che alleva clandestinamente i figli accidentali di cui le sue colleghe sono costrette a liberarsi. Momò racconta la sua vita, un’infanzia preclusa, misera, un orfano che prima di tutto vorrebbe avere una mamma che gli fa visita o qualcuno che, anche solo con un gesto di rimprovero o una punizione lo veda e si prenda cura di lui. Il racconto avviene con slanci di ironia e leggerezza, con la semplicità e l’innocenza di un bambino, per il quale la felicità è un attimo, al centro della sua vita c’è il profondo legame che lo lega a Madame Rosa, non ha nessuno al mondo tranne lei e lei non ha nessuno al mondo tranne lui.
Silvio Orlando, che cura anche la regia, è accompagnato in scena dall’Ensemble Orchestra Terra Madre che interpreta musiche che descrivono l’ambientazione multietnica alternando celebri canzoni francesi e ritmi africani. Dalla miseria e dalla disperazione nasce ugualmente una grande storia d’amore, quell’Amore con la A maiuscola, fatto di pensieri, gesti e attenzioni non per forza dichiarati e anche per questo ancora più veri e profondi, che sembrano racchiudere un semplice istinto di sopravvivenza e di egoismo ma che invece dimostrano la capacità di pensare all’altro, a quello di cui ha veramente bisogno e a quello che lo fa sentire bene, in un tempo e luogo sospeso che non ha più presente, passato o futuro, in cui il ragazzo vorrebbe poter riavvolgere il nastro per vedere la sua Madame Rosa giovane e bella, senza tanti chili e tante malattie, dove esiste il luogo dove trovare rifugio nella vita e certezza nella morte. Le stesse emozioni, gli stati d’animo, le tragedie, le sofferenze, i bisogni che Momò vive e racconta superano il quartiere povero e diventano temi quantomai attuali e universali, sfaccettature del naturale e semplice bisogno d’amore, di riconoscimento e accettazione. Perché conclude Momò “Bisogna voler bene”.