Nei processi di sensibilizzazione verso l’ambiente, la nostra attenzione è sempre più spesso concentrata sulla qualità dell’aria e l’inquinamento delle acque, mentre del suolo, sul quale normalmente camminiamo, costruiamo le nostre case e che coltiviamo per l’approvvigionamento agroalimentare di umani e animali, ce ne preoccupiamo di meno. In realtà, la fotografia che restituisce Il Rapporto sulla salute del suolo italiano, ad opera del Joint Research Center, Ispra, Crea e varie società del suolo, è quella di una emergenza assoluta per lo stato di degrado. Allo stato attuale si stima che il 61,5% dei suoli nell’UE siano insalubri e che a livello mondiale entro 60 anni potremmo perdere la totalità delle terre fertili. A causa dell’erosione, poi, entro il 2050 il 90% dei suoli sarà già a rischio.
L’Italia rientra a pieno titolo nelle stime. Nell’ultimo quarto di secolo abbiamo perso il 28% dei terreni coltivabili e abbiamo una riduzione di suolo giornaliero di 2,4 metri quadrati. Le cause sono tante, dalla eccessiva cementificazione alle coltivazioni intensive. Il Rapporto realizzato dalla Re Soil Foundation, nata per salvaguardare il suolo, uno dei beni più importanti del Pianeta e promossa dall’Università di Bologna, Coldiretti, Novamont e Politecnico di Torino, rappresenta il primo studio olistico, che analizza tutte insieme le cause del degrado: erosione, desertificazione, dissesto idropedologico, contaminazione, impermeabilizzazione, perdita di sostanza organica. L’80% dei terreni agricoli, pari al 23% del territorio nazionale, è sottoposto a fenomeni erosivi e il 68% ha perso più del 60% del carbonio organico originariamente presente in essi. Il 23% dei suoli agricoli presenta livelli eccessivi di azoto, mentre il 7% è sottoposto a fenomeni di salinizzazione secondaria. Le aree soggette a rischio alto o molto alto di compattazione coinvolgono l’8% del territorio. E poi il problema contaminazione: quella da alti quantitativi di rame riguarda il 14% della superficie italiana, mentre l’1% presenta elevate concentrazioni di mercurio.
Le cause naturali del degrado e della desertificazione dipendono dai cambiamenti climatici (modifiche delle precipitazioni, temperatura in aumento, aumento degli episodi di siccità, con conseguente disponibilità insufficiente di acqua per il suolo, per la vegetazione e per le attività produttive, agricoltura in primis) e dalla erosione, ossia la disintegrazione del suolo e la rimozione a causa dell’azione di pioggia e vento su terreni fragili. Ma sappiamo che dietro questi eventi naturali esistono precise responsabilità antropiche a cominciare dalla gestione non sostenibile delle risorse naturali, dell’acqua, del suolo e della vegetazione.
Scendendo più nel dettaglio parliamo dell’uso non sostenibile delle acque superficiali e sotterranee, della contaminazione e dello sfruttamento eccessivo dei suoli; della conseguente perdita di biodiversità, con smantellamento delle comunità di piante e animali; dei cambiamenti chimici e fisici causati dagli incendi; delle pratiche agricole dannose per l’uso eccessivo delle macchine, di fertilizzanti e di pesticidi; dell’impermeabilizzazione del terreno coperto da asfalto e cemento; del consumo di suolo fertile, delle discariche e delle attività estrattive. Le conseguenze sono meno turismo, diminuzione dei terreni fertili, erosione, compattazione, salinizzazione, contaminazione, frane, ma soprattutto perdita di sostanza organica. Tutte insieme contribuiscono a un processo graduale e poco evidente, ma dalle conseguenze potenzialmente catastrofiche se ignorato per troppo tempo.