domenica, 17 Novembre, 2024
Editoriale

In Italia bisogna ridurre gli attestati e aumentare le buste paga

Nel Pnrr tanti miliardi per la formazione: i soldi vadano dati solo alle imprese che assumono, sono loro il vero modello di conoscenze che creano sviluppo ed occupazione

La buona notizia c’è, il nuovo Piano di Ripresa e Resilienza italiano ha avuto il via libera da Bruxelles. Si tratta della rimodulazione del Pnrr con 145 obiettivi e nuovi impegni su settori strategici come le infrastrutture, la sanità, e il lavoro. Per il presidente del Consiglio Giorgia Meloni sono “miliardi in più dedicati alla crescita”. Mentre per il ministro Raffaele Fitto che ha la responsabilità del Piano, ci sarà “subito un decreto per riassegnare i fondi”, è già martedì è previsto un incontro con le Amministrazioni locali. L’impegno del Governo – preso venerdì scorso con le Parti sociali e le Associazioni datoriali – è accelerare per dare sostegni all’economia.

Il record di miliardi

Il Pnrr con la rimodulazione dei progetti e il via libera di Bruxelles ha ottenuto una crescita della dotazione economica che passa da 191.5 miliardi a 194.4 miliardi con 614 obiettivi da centrare. Per il 31 dicembre il Governo, inoltre, attende che l’Unione stacchi due assegni, per la terza e quarta rata del Pnrr che valgono complessivamente 35 miliardi. Cifre rilevanti se le poniamo a confronto con quelle della Manovra 2024 che ha una dote di 24 miliardi.

Attenti a non fallire

Molte le esultanze registrate per i cospicui fondi Ue, ma si dimentica di ricordare che si tratta di un maxi finanziamento che prevede risorse per 191,5 mld di euro, di cui 68,9 miliardi di euro finanziati da sovvenzioni a fondo perduto e 122,6 mld di euro finanziati tramite prestiti. Quindi soldi che andranno restituiti. Fallire su progetti e opere significa spendere denaro (molto a debito) senza che l’impatto sull’economia ne abbia un concreto beneficio, quindi poco o nulla per le famiglie e per le imprese. Il rischio rimane alto, e d’altronde non sarebbe un fatto nuovo, in più occasioni e valga per gli anni passati, i fondi concessi all’Italia sono stati dispersi in opere costose ma scarse dal punto di vista dello sviluppo promesso. O, peggio in diverse occasioni i soldi sono stati sperperati in lavori inutili o per programmi che non hanno creato reali benefici alle piccole imprese ma sostenuto grandi gruppi industriali. Oggi si eccepirà che si tratta di cose passate, e che ora c’è una governance molto più attenta e scrupolosa. Non ne abbiamo dubbi, conosciamo il ministro Raffaele Fitto e sappiano che la sua serietà è una garanzia istituzionale e operativa.

Impegno chiesto al Governo

Detto questo abbiamo una sollecitazione da fare al premier Giorgia Meloni, e ai ministri per le Imprese e il Made in Italy, Urso; a titolare dell’Economia, Giorgetti; alla ministra del Lavoro, Calderone e allo stesso Fitto. Vorremmo un impegno sul capitolo occupazione. La revisione del Pnrr prevede l’incremento di un miliardo di euro per il programma Gol (Garanzia occupabilità dei lavoratori). Il Piano Gol era già previsto nel Pnrr nella “Missione 5” per la riqualificazione dei servizi delle politiche attive del lavoro. Le risorse, lo ricordiamo, erano già notevolissime, oltre 4 miliardi e 400 milioni, in più entro poco più di un anno (precisamente per il 2025) le persone interessate beneficiarie del progetto devono essere 3 milioni di cui 800 mila in “attività formative” più 300 mila per le “competenze digitali”.
Conoscenze si sottolinea: “per favorire l’accesso al mercato del lavoro degli individui e per colmare il disallineamento tra domanda e offerte di competenze professionali, il cosiddetto ‘skill mismatch”.

Puntare sul lavoro vero

Questo il punto che evidenziamo. Si parla troppo di formazione, di competenze etc etc, e poco, se non pochissimo, di assunzioni e di imprese. Sono queste ultime il vero snodo tra disoccupati e occupati. Sono le piccole imprese, il vero motore dello sviluppo e del lavoro. Sono loro a portare sulle loro spalle il peso di nuovi assunti e, sono sempre loro, a realizzare nella realtà e nei fatti un vero percorso formativo. I fondi vanno dati a chi assume, a quanti creano lavoro e benessere, altrimenti si rischia – come è già accaduto – che risorse per centinaia di milioni di euro siano spesi per la formazione, ma non per nuove assunzioni. Se vogliamo dirla fino in fondo, i recentissimi dati diffusi dal Bollettino annuale 2023 del Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere e Anpal, evidenziano come il mancato rapporto tra domanda delle imprese ossia le figure professionali richieste e l’offerta non riesce ad “accoppiarsi”. Il mismatch continua ad aumentare per tutti i profili ricercati. “In particolare”, si sottolinea, “raggiunge il 60,3% la quota di criticità per gli operai specializzati”.

Troppi attestati e pochi contratti

C’è quindi da riflettere, perché se dopo anni di proposte formative, di corsi per ogni esigenza, esiste ancora un divario che appare in crescita se non incolmabile, allora c’è qualcosa di sbagliato. Forse la strada, a questo punto, è sostenere e incentivare le imprese che assumono che fanno loro formazione. Il vantaggio per il lavoratore è immediato, con l’essere assunto, avere una formazione diretta e subito una busta paga. Così ci saranno più occupati, più stipendi, più denaro che circola e più risorse per l’Inps.
Ben vengano i miliardi per le politiche attive per il lavoro, ma che siano davvero spesi per creare occupazione e sviluppo. Di “pezzi di carta” in Italia ne circolano tanti, noi invece vorremmo vedere più assunti e meno attestati appesi ai muri.

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