Ci siamo arrivati: sono anni che se ne parla e ora siamo al dunque senza che nessun governo possa farci un bel niente. Se a livello nazionale il rapporto ormai è di uno a uno, nel Mezzogiorno, invece, il sorpasso è già avvenuto; per ogni lavoratore c’è un pensionato. Se in Italia il numero dei pensionati è di 22.772.000 e i lavoratori sono 23.099.000, nelle regioni del Sud e delle Isole le pensioni pagate ai cittadini sono 7.209.000, mentre chi lavora, ovvero paga le pensioni, è fermo a 6.115.000.
Ora anche la Cgia di Mestre osserva questi dati trovandoli “preoccupanti” perché dimostrerebbero, in tutta “evidenza, gli effetti provocati in questi ultimi decenni da tre fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e la presenza dei lavoratori irregolari. “La combinazione di questi fattori sta riducendo progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossando la fila dei percettori di welfare.”
Ci vorrebbe un miracolo
“Soluzioni miracolistiche”, mette le mani avanti la stessa Cgia, “non ce ne sono” e anche se ci fossero non potrebbero avere effetti “prima di 20-25 anni.” Tuttavia, i ricercatori degli artigiani del Veneto, sostengono che il trend “può essere invertito”, in tempi medio-lunghi, “allargando la base occupazionale”. Ovvero “portando a galla una buona parte di lavoratori invisibili”; coloro che svolgono attività in nero e che secondo l’Istat sarebbero circa 3 milioni di italiani. Così come sarebbe necessario incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro “visto che siamo fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile; pari al 50 per cento circa.” Inoltre, bisogna rafforzare le politiche che incentivano la crescita demografica (aiuti alle giovani mamme, alle famiglie, ai minori, etc.) e allungare la vita lavorativa delle persone – almeno delle persone che svolgono un’attività impiegatizia o intellettuale. Da ultimo è necessario innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta l’Ue. Insomma una serie di decisioni collettive che farebbero tornare a pari dei conti economici che “stanno sballando” e per i quali le soluzioni sono su più livelli e spalmate in decenni. “Se non faremo tutto ciò in tempi relativamente brevi”, invece scrive la Cgia, “fra qualche decennio la sanità e la previdenza rischiano di implodere.”
Servono subito 3 milioni di addetti
Gli stessi artigiani veneti ammettono che “purtroppo, non c’è molto tempo; dalla lettura delle statistiche demografiche/occupazionali emergono tendenze molto preoccupanti.” Tra il 2023 e il 2027, ad esempio, il mercato del lavoro italiano richiederà poco meno di tre milioni di addetti in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione. Nei prossimi 5 anni quasi il 12 per cento degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. Con sempre meno giovani destinati a entrare nel mercato del lavoro. “Sostituire” una buona parte di chi scivolerà verso la quiescenza diventerà un grosso problema per tanti imprenditori. Ricordiamo che negli ultimi 5 anni la popolazione italiana in età lavorativa (15-64 anni) è scesa di oltre 755 mila unità e solo nel 2022 la contrazione è stata pari a 133 mila.
Alcuni settori a rischio
Le previsioni per una popolazione invecchiata sono le solite: aumento della spesa sanitaria, pensionistica, farmaceutica e di assistenza alle persone. Va altresì segnalato che con una presenza di over 65 molto diffusa, alcuni importanti settori economici vanno in stress; rallenterà il giro d’affari del mercato immobiliare, dei trasporti, della moda e del settore ricettivo. Per contro, invece, le banche potrebbero contare su alcuni effetti positivi, grazie a una maggiore predisposizione al risparmio.