Ancora alluvioni, con danni per miliardi, ancora lutti per le vittime e la tragica ricerca dei dispersi. Ancora città e paesi travolti dal fango e migliaia di ettari con coltivazioni di pregio devastate dalle pioggia e dalle esondazioni dei fiumi. Può essere fermato tutto questo? È un interrogativo che apre numerosi scenari e sui quali vanno fatte riflessioni serie per trovare soluzioni concrete.
Inquinamento e danni
Non c’è dubbio che l’inquinamento prodotto dall’uomo stia portando la natura a manifestare un cambiamento climatico che diventa sempre più impetuoso, imprevedibile e funesto. Nei nostri recenti incontri sull’ambiente promossi da la Discussione – convegni e confronti dove sono state prospettate indicazioni concrete – abbiamo, puntato l’attenzione su molti fenomeni negativi, tra questi l’inquinamento da micro plastiche, che oggi sono ovunque. Soffocano i mari alterando pericolosamente l’eco sistema, inquinando flora e fauna marina, rendendo le specie ittiche esposte ad un elevato grado di tossicità per la catena alimentare umana. Fino a provocare il riscaldamento delle acque e innescare fenomeni devastanti come la tempesta Ciaran che dall’Atlantico ha colpito l’Europa, e le regioni italiane, con una brutale intensità su Liguria, e Toscana con una scia di danni che oggi stiamo verificando.
Un piano che avrebbe salvato cose e persone
Le emergenze che stanno a monte di fenomeni estremi, sono due, come detto l’inquinamento – e dobbiamo agire in fretta per invertire la rotta – e la fragilità del territorio della nostra Penisola. Mi soffermo su questo secondo aspetto, perché 13 anni fa ero Sottosegretario con delega all’Ambiente, un prestigioso incarico di Governo che mi permise di porre le basi a progetti importanti. Solo uno rimase inattuato. Ancora oggi rimane il rammarico per come nel 2010 proposi un grande Piano anti dissesto idrogeologico che venne poi accantonato. Il progetto guardava non solo ai rischi ma, soprattutto, ai rimedi. Articolato in più settori con un solo obiettivo, la messa in sicurezza delle aree che destavano maggiori timori di dissesto e, nel contempo. lavorare alla prevenzione lungo l’intero territorio nazionale. I fondi c’erano, ed erano quelli messi a disposizione dell’allora ministro dell’economia Giulio Tremonti. Le risorse erano diverse e tutte disponibili, oltre agli 800 milioni assegnati al Ministero dell’Ambiente per prevenire il dissesto idrogeologico, c’erano 300 milioni dei fondi europei dati alle Regioni e non spesi. Altri fondi sarebbero arrivati anche da Bruxelles per le opere da realizzare. Le risorse superavano quindi il miliardo.
Task force di giovani e imprese
Mi spinsi avanti anche nel definire l’ampiezza degli interventi necessari, che riguardavano l’intero Paese. Per la messa in sicurezza del territorio era necessario un piano di nuove assunzioni, bisognava dare spazio a circa 10 mila esperti. Una speciale task force con ingegneri, geologi, architetti, speleologi, a servizio di tutti i Comuni in grado di fare analisi dettagliate di prevenzione e delle opere da realizzare. C’era un aspetto del Piano che era particolarmente innovativo, il coinvolgimento delle energie e dei saperi dei giovani. Nuove capacità e studi da investire nello sviluppo dei progetti da attuare. Il lavoro da fare era e, purtroppo, resta oggi enorme. C’era, inoltre, un impegno culturale prioritario, quello legato al nuovo modo di vedere il territorio, non come sfruttamento e degrado, ma come coesistenza tra natura e uomo, tra attività produttive e vita delle persone. Le forze giovani avrebbero innescato un ciclo virtuoso e per ricompensa ai neo laureati era previsto un contratto annuale, con stipendi remunerativi, più rimborsi spese per gli spostamenti. Non lo nascondo ma era un piano ambizioso che prevedeva una mappatura nazionale delle aree che più destavano preoccupazione. Individuate le necessità, sarebbero scattati i progetti e le opere. Questo ultimo tratto del Piano era quello che prevedeva l’intervento di aziende italiane, in questo settore abbiamo delle vere eccellenze. Ditte esperte nel settore che sono molto richieste all’estero.
Un vuoto che oggi paghiamo
Oggi c’è da chiedersi perché in 13 anni si è fatto così poco nella tutela del territorio. All’epoca – quando il Piano fu accantonato – si preferì dare a pioggia i fondi così ogni Comune fece piccoli lavori ma senza prevedere le future catastrofi. Un interrogativo anche questo che non ha risposte – come non le ebbe il Piano da me presentato – ancora oggi sui progetti c’è un ostinato silenzio. I problemi però sono rimasti. Il rapporto Ispra 2023 sul Dissesto idrogeologico illustra bene i pericoli, il 94% dei Comuni è a rischio frane, alluvioni ed erosione costiera. Una pericolosità aumentata in modo esponenziale. “Oltre 8 milioni di persone abitano nelle aree ad alta pericolosità” scrive l’Ispra.
Dal premier arrivi una svolta
Oggi possiamo confidare nel Governo che ha mostrato con il presidente del Consiglio, Giorgia Meloni una capacità e una determinazione unica e innovativa. Le notizie di queste ore di nubifragi, allagamenti, danni incalcolabili e il numero vittime, dovrebbero spingerci ad agire. Il premier può farcela, può reimpostare quel lavoro fatto 13 anni fa, creare un obiettivo di missione a Palazzo Chigi, promuovere progetti e opere, che a conti fatti costerebbero, molto meno dei danni che oggi siamo costretti a conteggiare. Facciamo in modo da sanare le ferite che noi abbiamo inferto alla natura, alle nostre colline, alle valli, ai fiumi, alle coste. Proteggere il paesaggio e le vite deve essere una priorità. Come allora noi, così come tantissimi cittadini e professionisti oggi, siamo disponibili a mettere in campo esperienze e suggerimenti. Tutelare il patrimonio del territorio nazionale non è solo un impegno ma un dovere per salvaguardare la vita delle future generazioni, per avere ancora una Italia che sia bella e non deturpata da frane, strade dissestate, e la paura che ad ogni temporale si accompagni una nuova tragedia.