Il “processo documentale” ‒ come abbiamo già evidenziato ‒ deve accertare la “nullità di matrimonio” sulla base “di un documento che non sia soggetto a contraddizione o ad eccezione alcuna” – già can. 1686, ora can. 1688 c.i.c. – che, è bene evidenziare, può essere sia “pubblico (can. 1546)”, che “privato (can. 1542)”, “ma tale da offrire ogni garanzia di veridicità”.
Una riflessione immediata.
Solo in modo esemplificativo, può essere utile rammentare la previsione del can. 1080 § 1: “Ogniqualvolta si scopra un impedimento mentre tutto è già pronto per le nozze, e non è possibile, senza probabile pericolo di grave male, differire il matrimonio finché non si ottenga la dispensa dall’autorità competente, hanno facoltà di dispensare da tutti gli impedimenti” – con i limiti e le eccezioni ivi previsti – ai sensi del can. 1079, §§ 2-3, “sia il parroco sia il ministro sacro legittimamente delegato sia il sacerdote o diacono che assiste al matrimonio”.
Cosa avviene se colui che ha assistito al matrimonio non rivela di esservi avvalso della facoltà di dispensare e ancor di più – diversamente da quanto previsto dal can. 1081 – non “informa” o, per ragioni imponderabili, non riesce di fatto ad informare “subito l’Ordinario del luogo della dispensa» che è stata «concessa”?
Chi potrà essere realmente in grado di appellare la sentenza emessa in seguito ad un processo documentale – ai sensi del can. 1687 C.I.C., ora can. 1689 § 1 e 2 – facendo rilevare che una possibilità del genere si sia verificata?
In tal senso, l’attenzione si sofferma ancora su “questioni giuridiche” diverse, ma sicuramente utili all’accertamento di questa tesi.
Qual è la soluzione?
I “garantismi” ed il “riconoscimento di situazioni connesse” al “contraddittorio” possono essere avvalorati da previsioni di diritto divino, che smentiscono la necessità giuridica di attestare il giudizio all’evidenza probatoria – è il caso dell’adultera (Giov. 8,1-10) – o attestano la necessità di dare “testimonianza” di “se stessi”, smentendo la convinzione che quella di “due persone” sia necessariamente “vera” (Giov. 8.17-19). “Dio (il diritto divino), se dà un fondamento assoluto e trascendente (metafisico) alla pronuncia (normativa) umana in modo più o meno diretto, non la imbalsama in statica fissità; al contrario l’esige e l’induce in una perenne tensione verso una meta che non sarà mai pienamente raggiungibile, perché, sebbene misteriosamente immersa nel mondo, tuttavia lo trascende in modo radicale”.
“Non si può concepire un giudizio equo senza il contraddittorio, cioè senza la concreta possibilità concessa a ciascuna parte nella causa di essere ascoltata e di poter conoscere e contraddire le richieste, le prove e le deduzioni addotte dalla parte avversa o “ex officio””.
L’unica possibilità è data sicuramente da interventi dell’autorità legislativa canonica, finalizzati a “valutare” – nello spirito del Concordato – il “momento costitutivo del rapporto processuale” – l’effettività del contraddittorio – che non può essere sufficientemente accertato dalla declaratoria di efficacia, pronunciata dalla Corte d’Appello: il sistema concordatario deve garantire l’effettività del contraddittorio nell’accertamento della nullità matrimoniale ecclesiastica, come nella declaratoria di efficacia pronunciata dalla giurisdizione italiana, senza minare l’ordine giuridico statale e quello canonico.