lunedì, 8 Luglio, 2024
Società

L’intelligenza artificiale non sostituisce i giornalisti

Intervista ad Alessandra Costante, Segretaria generale della FNSI

Torniamo a parlare di Intelligenza Artificiale, che sempre più affascina e allo stesso tempo intimorisce, soprattutto per la possibile perdita di posti di lavoro che la sua introduzioni nei luoghi produttivi potrebbe rappresentare. Il settore che sembrerebbe immediatamente minacciato da questa tecnologia è quello dell’informazione per la grossa mole di dati che i content creator possono analizzare e sintetizzare in pochi secondi, ma a scapito di cosa? Ne abbiamo parlato con Alessandra Costante, Segretaria Generale della Federazione Nazionale Stampa Italiana, che proprio in questi giorni sta organizzando corsi di formazione sull’IA per comprendere meglio vantaggi e criticità per le redazioni.

L’Italia è un po’ indietro per quanto riguarda la conoscenza di una tecnologia definita nuova, che invece ha cinquant’anni. Come mai questo gap culturale?
L’Italia è rimasta indietro su molte cose. Diciamo anche che questa tecnologia ha cinquant’anni, ma il suo uso ampio è molto più recente. Tra gli Anni ‘80 e ‘90 ha vissuto quello che viene chiamato l’inverno dell’intelligenza artificiale. Per farla progredire ci volevano sistemi di calcolo che allora non c’erano e che adesso ci sono. E in effetti ora ha avuto questo boom eccezionale. Dopodiché l’Italia è indietro, l’Italia è rimasta indietro anche per quanto riguarda, per esempio, il passaggio dell’informazione sull’online.

Per quanti anni ne abbiamo sentito straparlare? Bene, noi siamo ancora qui con gli editori che chiedono finanziamenti e prepensionamenti. Io non voglio che i giornalisti italiani si ritrovino fra 5-10 anni ad avere a che fare con una perdita di posti di lavoro ingenti. Già le redazioni si sono svuotate, si stanno svuotando, quindi non voglio che a quello che accade oggi si debbano aggiungere gli effetti dell’intelligenza artificiale. Secondo alcuni studi dell’Ocse il 14% dei lavori “impiegatizi” possono essere già sostituiti dall’IA e il 32% dei posti di lavoro potrebbero subire profondi riadattamenti proprio a causa della sua introduzione.

Prevedendo questo scenario, come si muove la categoria dei giornalisti italiani?
Bisogna capire se e come devono affrontare la questione. Secondo me lo dobbiamo fare immediatamente con alcune rivendicazioni sindacali.

In realtà l’intelligenza artificiale può essere utile nella sostituzione di alcuni lavori molto ripetitivi, ma non potrà mai sostituire in toto il giornalista, la sua sensibilità, la creatività e soprattutto la verifica delle fonti, per la quale la normativa vigente è molto cogente. È questo che direte agli editori?
Io non ne sono così sicura. Tempo fa ho scritto un pezzo sui messaggi del Papa in occasione delle “Giornata Mondiale delle Comunicazioni Sociali” 2023, quindi su un argomento molto settoriale e anche complesso. Siccome il Papa, pur essendo molto anziano è anche una persona particolarmente proiettata nel futuro, nei suoi messaggi sulla comunicazione sociale ha affrontato i temi sia dell’online sia della piazza virtuale e da ultimo anche dell’intelligenza artificiale, ho scelto di concentrami su quest’ultima. Ho fatto una prova, ho chiesto a un chatbot di scrivermi 5.000 battute sui messaggi del Papa. Le ha scritte con una rapidità esagerata, 35 secondi scarsi e, attenzione, anche di senso compiuto, con una serie di informazioni corrette, perché io poi l’ho lette e rilette. Ci sono dei media online che già vengono confezionati solo esclusivamente con intelligenza artificiale. Certo, non sono i cosiddetti “pezzi caldi”.

Tecnicamente il linguaggio usato dal chatbot si chiama “linguaggio plausibile”, che vuol dire che è molto simile a un linguaggio corretto, ma che non può certo sostituire l’abilità linguistica e la creatività del giornalista. Inoltre questi software possono essere soggetti ad “allucinazioni”, non possiamo essere sempre certi che quello che scrivono sia corretto, quindi ci sarà sempre bisogno della supervisione umana, no?
Si, va benissimo, noi abbiamo la nostra legge ordinistica che ci dice che dobbiamo tendere alla verità sostanziale dei fatti, però quello che sta succedendo oggi nelle redazioni, di cui probabilmente chi vive fuori dalle redazioni non se ne rende conto, è una situazione di redazioni depauperate, impoverite, con poche persone al lavoro con una mole immensa di lavoro da fare. Il linguaggio plausibile equivale al linguaggio dell’articolo cosiddetto “freddo” che molti colleghi già fanno consultando Wikipedia.

Allora che cosa ci salverà dall’intelligenza artificiale, dalla cancellazione di molti posti di lavoro?
L’originalità, la capacità e la profondità. E soprattutto la qualità. Ma per la qualità abbiamo bisogno di tempo e di soldi, perché la qualità, purtroppo per gli editori, si paga. Il rischio che l’intelligenza artificiale spazi via posti di lavoro e più che realistica.

Per evitare questo avete intenzione di incontrare la Federazione degli editori, per spiegare loro le differenze qualitative?
Noi cercheremo di avere un contatto con la Fieg per potere lavorare insieme sull’intelligenza artificiale, non vogliamo che gli editori sfuggano al problema, esattamente come hanno fatto con l’online, di cui, come ho detto, stiamo ancora vedendo le conseguenze sui posti di lavoro, sui giornali e sui quotidiani cartacei.

Riassumendo, se ho capito bene, secondo lei l’intelligenza artificiale potrebbe sostituire in molte cose, se non in tutto, il giornalista, ma laddove noi ci vorremo accontentare di un’informazione non di altissima qualità, se non addirittura scarsa qualità. Di contro l’intelligenza artificiale, se ben utilizzata, potrebbe aiutare moltissimo la professione. Quindi, in che modo immagina che l’informazione possa avvalersene?
L’intelligenza artificiale è già nella nostra vita, nelle nostre case, Alexa ne è solo un esempio. Il rischio è che invece di batterci a scacchi ci batta sul lavoro. Ci può essere molto utile per esempio nella lettura di un rapporto Istat, può riassumerci velocemente le parti importanti rispetto alle domande che gli abbiamo fatto noi. Se, invece, noi gli diciamo leggiti il rapporto Istat e scrivi 5.000/10.000 battute, questo è un suicidio professionale. Significa anche avere una qualità dell’informazione molto bassa perché, per quanto capace sia, è comunque limitata, cioè non ha l’idea che può avere un giornalista di tirare fuori dal rapporto Istat un’immagine, un fotogramma della società italiana che vuole far emergere.

A me viene in mente il Data journalism come settore dell’informazione che potrebbe maggiormente avvantaggiarsi del supporto dell’IA, ma per il quale bisognerà formare una nuova generazione di giornalisti capaci di lavorare con i big data e i dati satellitari. Siamo pronti per questo?
Nel mondo del giornalismo della carta stampata è già in corso una rivoluzione anagrafica. Nel passaggio al digitale sono stati espulsi in molte redazioni i colleghi più anziani, meno capacità di rapportarsi con le nuove tecnologie e si stanno incamerando i colleghi che invece sono più disposti, anche psicologicamente, ad avere a che fare con l’IA. Però attenzione. Una componente importante della nostra informazione di qualità resta l’alzarsi dalla sedia, alzarsi dalla scrivania e guardare il mondo per quello che è, perché puoi fare delle bellissime inchieste, ma se non riesci a contestualizzarle nel mondo in cui viviamo oggi, davanti alle poche fabbriche ancora esistenti, tu non stai facendo della buona informazione, stai solo dimostrando di saper utilizzare i big data e basta.

Possiamo, dunque, concludere che il prodotto ideale è fatto dall’uomo più l’intelligenza artificiale?
Il prodotto ideale e fatto dall’uomo, dall’intelligenza umana, dalla capacità umana di rapportarsi con la realtà in cui vive. L’intelligenza artificiale non può affiancarci alla pari, come co-pilota. Dobbiamo assolutamente usarla, ma dobbiamo affrontarla esattamente come abbiamo in passato affrontato la tastiera del computer e prima ancora la macchina da scrivere.

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