Sandro Ruotolo è Senatore della Repubblica. Il giornalista entra a Palazzo Madama, a seguito delle elezioni suppletive, con il 50 per cento delle preferenze, staccando il candidato del centrodestra e quello del Movimento 5 Stelle.
Affermazione netta, dunque. Anche se l’affluenza inchiodata al 9,52 per cento, addirittura più bassa delle suppletive di Cagliari dell’anno scorso – dove si riteneva fosse stato toccato il punto più basso della storia repubblicana con il 15 per cento – lascia aperta una serie di interrogativi.
A cominciare da uno: perché i napoletani hanno ignorato le urne?
Secondo i numeri si sono espressi appena 26.057 i votanti su un totale di 357.299 elettori con oltre 25 anni di età, pari al 7,29 per cento. Un trend in calo rispetto alle precedenti elezioni era apparso già chiaro alle 12, quando si era recato ai seggi il 2,77 degli aventi diritto (9.905 persone), mentre alla stessa ora, per le Politiche del 2018, il dato dei votanti nel capoluogo campano era stato del 15,86.
È chiaro che non si possono mettere sullo stesso piano il voto del 2018 e quello che si è appena consumato, ma nessuno si aspettava un dato così basso: la previsione infatti era di un 28-30 per cento di votanti.
Al netto della psicosi del coronavirus – che un peso (a nostro avviso modesto) lo ha comunque avuto – è innegabile che cresce il disinteresse verso la politica.
Un trend già emerso in occasione della presentazione del Rapporto del Censis sulla situazione sociale del Paese, nel quale gli italiani sono stati descritti come arrabbiati, sfiduciati e delusi dalle condizioni economiche e dalla politica.
A noi sembra che il quadro certifichi in maniera netta il fallimento totale di un certo modo di intendere l’impegno nella vita pubblica. Molti si sono illusi che la comparsa sulla scena di tanti uomini e donne di buona volontà, alla loro prima esperienza nel mondo delle istituzioni, avrebbe potuto cambiare le cose, forti dell’età anagrafica e delle potenzialità offerte dalla Rete. Abbiamo, invece, avuto modo di constatare che la tanto decantata vocazione all’onestà da sola non basta a risolvere i problemi del paese senza una visione di prospettiva; così come la regola dell’uno vale uno. Perché quando si governa non si può fare a meno delle competenze.
Per uscire da questo impasse occorre ridare forza e vigore ai partiti, da intendere, però, secondo il dettato dei saggi costituenti, come luogo di elaborazione di proposte e di confronto (anche serrato) e non come meri «contenitori» ad uso e consumo del leader di turno.
Bisogna tornare a coinvolgere i cittadini, ripartendo dal basso. Proprio come auspicava don Luigi Sturzo, il cui appello ai liberi e forti è quanto mai attuale anche ai giorni nostri.
E impone, ai cattolici democratici e riformisti, di uscire dall’isolamento e tornare a dare il proprio contributo per la crescita del Paese.
I seggi torneranno ad affollarsi quando gli italiani avvertiranno di meno la distanza con i loro rappresentanti, avendo la possibilità di sceglierli e di seguirne l’attività nell’interesse dei territori di cui sono espressione.