mercoledì, 18 Dicembre, 2024
Attualità

Una pericolosa anomalia: il modello italiano di processo penale

Le polemiche di questi giorni sulla estensione delle captazioni a questo o a quel reato creano una ulteriore cortina fumogena rispetto al vero nodo da sciogliere per avere un sistema di giustizia penale effettivamente compatibile con le regole vigenti in sede europea e quel nodo altro non è che il salto definitivo – finora incompiuto – dal processo inquisitorio in vigore fino agli anni ottanta, a quello accusatorio.

Il primo è un sistema in cui il giudice ha un ruolo molto più attivo nella raccolta e nell’analisi delle prove; nel modello accusatorio, invece, il giudice assume una posizione terza e imparziale, e sono le parti – accusa e difesa – che presentano le prove e le argomentazioni reciprocamente raccolte.

 Nel modello accusatorio, il processo penale è strutturato come un duello tra due parti che si confrontano: l’accusa, rappresentata dal pubblico ministero, e la difesa, rappresentata dall’imputato e dal suo avvocato. Il giudice agisce come un arbitro imparziale, il cui compito è valutare le prove presentate ed emettere una sentenza o, prima ancora, i provvedimenti cautelari indispensabili per mantenere la genuinità delle prove raccolte (ma è proprio in quella sede che si consumano gli abusi che tutti conosciamo!).

Una delle caratteristiche salienti del sistema accusatorio è dunque la netta separazione delle funzioni tra i vari attori coinvolti: il pubblico ministero è responsabile per le indagini preliminari e per l’eventuale rinvio a giudizio, mentre il giudice per le indagini preliminari (GIP) può emettere le richiamate misure cautelari, oppure decidere sull’archiviazione delle indagini.

Durante il processo, il ruolo del giudice è limitato all’analisi delle prove e alla determinazione della colpevolezza o dell’innocenza dell’imputato – senza ulteriori interessi da tutelare, se non quello dell’esercizio imparziale della potestà punitiva – e, ove tali limiti venissero superati (come spesso avviene), verrebbe meno la regola CEDU secondo la quale ogni accusato deve essere assoggettato alla giurisdizione di un magistrato terzo e imparziale.

Ma terzietà e imparzialità debbono non solo sussistere per davvero, ma anche apparire tali, altrimenti continuerebbe a perdere di valore un aspetto fondamentale del modello accusatorio: quello della effettiva separazione delle funzioni fra chi accusa e chi deve, invece, giudicare.

Effettività della separazione delle funzioni vuol dire perciò, necessariamente, anche separazione delle carriere – come ben spiega, Giuseppe Benedetto, Presidente della Fondazione Einaudi, nel suo volume “Non diamoci del Tu“ (Roma, 2023) – e tutti coloro che si oppongono a questa modifica dell’attuale regime fanno mostra di dimenticare una circostanza fondamentale: quella per cui difficilmente due colleghi magistrati rinunceranno ad avere quei contatti informali che sono inevitabili nell’esercizio di ogni professione esercitata in comune, mentre non altrettanto avviene a proposito di similari contatti tra magistrati che indagano per accusare e avvocati che difendono gli indagati.

Gli addetti ai lavori ben conoscono le ulteriori, positive, conseguenze che scaturirebbero da una simile riforma: innanzitutto quella dello sdoppiamento del Consiglio Superiore della Magistratura in due organismi distinti: uno per i magistrati giudicanti e l’altro per i magistrati inquirenti, con inevitabili ricadute positive sulla organizzazione giudiziaria, innanzitutto ai fini della congruità delle scelte dei titolari degli uffici direttivi.

Ne potrebbero così ripetersi gli episodi riferiti dalle cronache sugli scambi di favori fra i vertici delle diverse correnti dell’Associazione Nazionale Magistrati in merito alla scelta dei dirigenti dei Tribunali e delle Procure, venendosi finalmente ad ottenere una valorizzazione delle professionalità rispetto ai pesi del consenso riscosso dall’uno o dall’altro candidato: Procuratore o Giudice che egli sia.

Potrebbero così venir meno anche le altre critiche mosse al vigente modello di processo accusatorio, ove le lungaggini burocratiche e la lentezza dei processi sono tra i principali punti di insoddisfazione di chi, talvolta suo malgrado, si imbatte nei servizi della giustizia.

Per non dir poi di quel che accadrebbe nella fase delle indagini preliminari, unanimemente considerata come troppo discrezionale, ove al Pubblico Ministero sono conferiti enormi poteri, senza adeguati controlli; ma quel che più sorprende è l’incapacità dei PM di controllare le fughe di notizie sulle misure adottate nei confronti di indagati più o meno illustri, cui si viene così a negare il diritto alla presunzione di innocenza anche nei suoi profili mediatici e reputazionali.

A questa incapacità – che non vogliamo credere essere addirittura connivenza – puntualmente si accompagna l’impunità degli effettivi autori delle fughe di notizie, che non è difficile immaginare possano essere – almeno nella maggior parte dei casi – gli stessi agenti della polizia giudiziaria che hanno condotto le indagini per conto di quei PM.

Ma se così è, il primo rimedio da adottare deve esser quello di attribuire la competenza a giudicare sulle violazioni alla segretezza delle indagini secondo l’identico criterio seguito per i magistrati: spostando cioè tale competenza dal luogo in cui l’attività viene esercitata a quello previsto per i casi in cui l’indagine debba riguardare Giudici e Pubblici Ministeri di un determinato distretto: a mero titolo di esempio, una fuga di notizie verificatasi a Roma verrebbe affidata alla competenza della procura di Perugia, esattamente come se – anziché aver di fronte un agente della polizia giudiziaria – ci si trovasse in presenza di un magistrato.

Un simile rimedio diviene oggi ancora più urgente perché, secondo la riforma delle intercettazioni in corso di approvazione, la polizia giudiziaria avrà il potere di eliminare quelle ritenute irrilevanti, assumendo così funzioni sostanzialmente identiche a quelle finora attribuiti ai PM: sulla bontà una tale opzione lascio ai lettori ogni giudizio e mi limito ad osservare come solo attraverso queste minime in declinabili modificazioni al vigente modello di processo penale si potrà riannodare quella linea di continuità con le diverse tradizioni giuridiche in base alle quali è stato pensato  da quel grande giurista che fu Giuliano Vassalli – il modello ora vigente.

Null’altro da aggiungere, almeno per ora, se non ribadire che l’attuale sistema accusatorio italiano è – per come si è sviluppato, ma (in parte) anche per come fu originariamente pensato – un’anomalia e quanto questa anomalia sia pericolosa (da ogni angolo la si voglia guardare) ce lo raccontano i fatti e le cronache di tutti i giorni.

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