Con i ballerini del corpo del Ballet du Grand Teatro de Genève, il grande coreografo crea fluttuazioni di granito. Nel mondo della velocità, della scadenza celere di ogni narrazione iscritta all’anagrafe dei consumi, l’arte assolve il ruolo di garante della memoria. Accade talvolta che la grande arte possa, proprio velocizzando processi, assumere un significato simbolico in odore di mitologia e rendere permanente ciò che è transeunte. Questa è la lezione più importante raccolta durante lo spettacolo Ukiyo-e di Sidi Larbi
Cherkaoui, che ha inaugurato il Romaeuropa Festival. “Geografie del nostro tempo” è il titolo sotto il quale si articola l’intero programma del REF2023 ideato dal direttore generale e artistico Fabrizio Grifasi, e, a ragione, Ukiyo-e si dipana, davanti ai miei occhi, come un simbolo preciso di geografie in movimento.
Il direttore artistico Grifasi, ha concepito l’indagine di queste geografie non solo come invito ad esplorare la bellezza creata dall’essere umano, ma anche il districarsi di un insieme di connessioni che disegnano una mappa fatta di linguaggi ed estetiche, incontri e dialoghi, comunità e cooperazione.
Vale la pena sottolineare, dunque, la profonda trasformazione custodita nel termine giapponese Ukiyo, che passa, nel corso dei secoli, da un’accezione sofferente (Uki, che significava “sofferenza”, yo, che significava e significa “mondo”), per arrivare dal periodo Edo, dall’inizio del Seicento, con l’emergere della nuova classe sociale di mercanti e artigiani, ad un’accezione positiva, in cui Uki si trasforma in “fluttuante”. Questo si traduceva in una nuova visione del mondo, in cui era possibile una bellezza di cui godere nel quotidiano della città, che si costituiva come riflesso di un nuovo tessuto sociale, da qui si dipana la storia di due visioni del mondo che iniziano a convivere: da un lato le rigidità dei Tokugawa (che portò alla chiusura dei confini della nazione per circa due secoli), dall’altro una società radunata intorno ai teatri, ai luoghi del piacere, alla natura, alla moda, rappresentate nelle “immagini del mondo fluttuante” (Ukiyo-e), quali i dipinti, i libri illustrati dei maestri del Settecento Hokusai e Hitoshige, che sono entrate nell’immaginario collettivo tanto da influenzare i grandi pittori francesi dell’Ottocento (Degas, Manet, Van Gogh). “L’Ukiyo-e è una forma democratica di rappresentare il mondo, di creare qualcosa che rimarrà per sempre. Come nella coreografia, la riuscita dell’opera è affidata al gruppo di persone che lavora insieme. Penso sia una rappresentazione perfetta del modo in cui lavoro» spiega Cherkaoui.
18 interpreti in scena e una crew internazionale danno vita ad una coreografia impetuosa articolata nell’universo di colori dei costumi disegnati da Yuima Nakazato o del movimento delle scale realizzate dallo scenografo newyorkese Alexander Dodge. Fluttuante e continuamente in movimento, questo elemento architettonico, ispirato alle geometrie di Escher, rafforza l’idea di sospensione che attraversa l’intera pièce.
Spiega ancora il coreografo: «Spesso le mie scenografie mutano di forma e di significato. In questo caso le scale disegnate con Dodge divengono metafora di questa sensazione di galleggiamento. Vengono spinte diventando delle barche, un’unica grande nave, un porto, un tempio, delle pareti che ci rinchiudono o che ci tengono al sicuro».
Guardando lo spettacolo la pedana rotante, Al centro di questo spazio il dialogo con la musica affidato al franco-vietnamita Alexander Dai Castaing, al polacco Szymon Brzóska, alla cantante Kazutomi «Tsuki» Kozuki e al maestro del Taiko Shogo Yoshii.
«Ho chiesto a Szymon Brzóska di comporre pensando alle tensioni che ci sono nel suo paese. La musica è così diventata complessa, una sorta di Stravinskij con una dinamica in grado di metterci a disagio. Poi ho chiesto ad Alexander di lavorare con degli elementi naturali come il vento e il mare, una natura pericolosa ma allo stesso tempo rassicurante. (…) Shogo Yoshii, invece, ha lavorato a lungo con i Kodo ed è stato uno dei più importanti percussionisti giapponesi. Ha studiato le canzoni di diverse isole del Giappone, canzoni che provengono da luoghi distanti tenute insieme nel suo corpo. (…) È eccitante giocare con queste differenti canzoni tradizionali e immergerle nell’elettronica, lasciarle dialogare con la musica classica occidentale o contemporanea. Credo sia necessario osare, collegare idee più grandi e ho cercato di sfidare i compositori a pensare in modo più ampio» continua Cherkaoui. Perché Ukiyo-e non è solo un omaggio alla cultura giapponese, ma l’immagine del personale “mondo fluttuante” che da sempre ispira il coreografo fiammingo: «guardare questo mondo che fluttua è come guardare il mare» continua «vorrei che il pubblico sentisse la sua pace, capisse che non sta cercando di dirci nulla se non che tutto è destinato a cambiare, (…) Ukiyo-e è come una cerimonia carica di speranza. Ci invita ad una posizione di contemplazione e di ascolto».
È proprio la speranza a sostenere l’intero impianto scenico, è alla speranza che viene data parola nello spettacolo attraverso i versi della poesia “Hold tour own” (resta te stesso) di Kar Tempest: …quando il tempo spacca le vite, resta te stessa, quando tutto è in flusso e niente si può sapere con certezza, tieni stretto il tuo io… quando l’unica cosa che resta è sapere che senti, tieniti quel che hai…
Tutte queste suggestioni sulla scena diventano realtà nella mescolanza generatrice di corpi e spazio. La pedana si scorpora, la scala maestosa nel corale del dell’essere abitata da tutti i ballerini si smembra e fluttua in incastri sempre nuovi che rivelano la soggettività di chi la percorre. La commistione di percussioni e musica elettronica rappresentano sia il senso del Festival sia il nostro intero tempo, ma quel che è più interessante e che nei ballerini si esprime una tensione all’alto che può espletarsi solo con il sostegno dell’altro. Ma lo spettacolo con la sua coreografia pone anche intimamente una domanda chi è l’escluso? Chi è l’impedimento nella scalata? Chi è il bloccato alla frontiera? E domanda ancora: chi sono i due fermi nel mondo che si muove frenetico intorno? Chi sono gli amanti e chi l’infelice? A queste domande risponde la coreografia della seconda parte dello spettacolo attraverso una fluidità una sinuosità vellutata un esprimersi di riccioli leggeri e aerei come zaffiri che conducono ad una polifonia che diventa sinfonica e sembra dirci che se tutto scorre passa anche il dolore. Possiamo credere nella speranza.